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Colledara
- aggiuntovi: Da Colledara a Firenze
Fedele Romani
R. Bemporad & Figlio, 1915, pagine 335

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   gala: lavoro che poi uno studente scelto da lui doveva leggere a scuola, in giorno stabilito. Volle combinazione, che, una volta, avendo egli assegnato uno di quei lavori, alla scadenza guardò il registro e lesse: — Romani! — Nè io, nè altri avevamo pensato a fare il lavoro : di quel che assegnava il Ranalli, non se ne teneva conto, anche perchè egli soleva, quasi sempre, dimenticarsene. Il mio nome, dunque, fa letto, e tutto a voce d'orco. Io non ricordo cosa facessi in quel momento: bisogna sapere che, dell'ora del Ranalli, spesso ce ne giovavamo per sbrigar la posta, per tradurre dal tedesco o dall'inglese, o per altre utili occupazioni: io non so precisamente cosa facessi ; ma il suono del mio nome mi richiamò spiacevolmente alla realtà. — Legga, — riprese il Ranalli — legga il suo lavoro. — Che lavoro potevo io leggere, se non avevo nulla? Mi vidi nel massimo imbroglio. Fu spedito immediatamente un dispaccio alla prima fila (io ero verso la metà) dov' erano tutti studenti di primo anno (io ero al quarto), che novellini, ingenui, solevano prestare attenzione alle parole del Ranalli, e prendere qualche appunto.
   Fu spedito un dispaccio, perchè qualcuno mi mandasse, almeno, un quaderno d'appunti. Il quaderno arrivò; ma, per farlo arrivare, ci volle un po'di tempo. Intanto il Ranalli si seccava e: — Legga, — ripeteva; — perchè non legge? — Io facevo vista di cercare qua e là fra le mie carte; e tiravo, quanto potevo, per le lunghe. Arrivato il quaderno, cominciai a leggere. Il Ranalli parlava male: quelli che io avevo davanti erano appunti frettolosi : ognuno può immaginare che ordine e che chiarezza ci dovesse essere. Andavo avanti febbrilmente, senza capire una parola di quel che leggevo, e temendo sempre di trovare il fosso dove sarei precipitato. I miei com-