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Colledara
- aggiuntovi: Da Colledara a Firenze
Fedele Romani
R. Bemporad & Figlio, 1915, pagine 335

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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[ Testo della pagina elaborato con OCR ]

   l'insistenza, e lesse. La lettura fu accompagnata da molti
   — Bene! bravo! — e alla fine scoppiò, come direbbe un giornalista, una triplice salva di applausi. Appena finiti gli applausi, un nostro compagno corse affannato in biblioteca, e, presentandosi, così senza fiato, al Ferrucci:
   — Ah, professore mio, — gli disse, — ah, professore mio, che bella cosa ci ha fatto sentir oggi il Ranalli a lezione. — Che? — domandò ansiosamente il Ferrucci, alzando le ciglia un poco in soso e prevedendo un dolore. — Una traduzione maravigliosa d'un passo di Cicerone. — Il Ferrucci ebbe un lieve fremito; il cuore non l'aveva ingannato : il Ranalli era assolutamente determinato ad invadere il suo campo. Ma fece forza a sè stesso; e, mostrando di non maravigliarsi: — Ma sicuro, — esclamò, — sicuro : sono tre giorni che ci lavoriamo insieme ! — con un tono che pareva volesse dire :
   — Come può non esser bella la traduzione? — Molti graziosi aneddoti legavano insieme i nomi di Ferrucci e di Ranalli; e gli studenti li avevano anche riuniti in uno stornello :
   Fior di vainiglia: Michele stride e Ferdinando raglia, E la studiosa gioventù sbadiglia!
   Ma lo spirito satirico degli studenti non si esercitava soltanto sul Ranalli e sul Ferrucci: anche il venerato D'Ancona formava il soggetto di qualche comica trovata. Io sapevo disegnare alla peggio due cani che, guardandoli con un po' di buona volontà, potevano parere anche quattro, due morti e due vivi. Volli rappresentarli anche sul muro di un corridoio della Scuola normale. In quei giorni che li disegnai, il D'Ancona ci leggeva e spiegava a scuola alcuni rozzi componimenti poetici delle origini.