suoi tristi effetti. La notte si avanzava, e ci sparpagliammo per la città, cercando di situarci nel miglior modo possibile. Ma a me ed a un mio intimo amico non riuscì di trovar nulla di conveniente per le nostre borse, e passammo la notte in un caffè, sonnecchiando su di un sofà, al rumore monotono di una fontanina : rumore pieno di voci e cadenze misteriose e sconfortanti; e non minore sconforto m'infondeva all'anima la voce del cameriere, che ogni tanto gridava con voce affettatamente gutturale, e con P aria di chi è stanco di dir sempre la stessa parola: — Cafèee...!
Arrivò l'alba, arrivo la mattina, e ci mettemmo in giro per trovare un rifugio. Lo trovammo finalmente ; e fu una casa celebre, la casa di Bramante a Governo Vecchio. Ma la celebrità è meglio vederla solo dal di fuori e da lontano. La cameretta che ci fu assegnata, non era più larga di due metri, nè più lunga di quattro; e il lettino che doveva servire per noi due, giovani tutt' altro che mingherlini, sarebbe stato strettissimo per uno. La prima sera arrivammo stanchi e rifiniti specialmente per la novità del lastrico delle strade di Roma, fatto con pietre a punta di diamante. Avanti di entrare nel letto, lo guardammo lungamente tenendo le mani congiunte come la Madonna ai piedi della croce : quel letto doveva essere un amico, e noi sentivamo che era un nostro fiero nemico, al cui amplesso, per altro, non potevamo sottrarci. A me toccò la parte verso il muro, e ne dovevo sentire tutta la notte il ghiaccio, non essendo ben protetto dalle misere e strette coltri. Se uno di noi voleva mutar lato, dovevamo metterci d'accordo. I primi chiarori dell'alba erano l'annunzio di una liberazione. E il mangiare non andava meglio del dormire: pane, prosciutto e formaggio erano il nostro cibo ordinario. Un