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Colledara
- aggiuntovi: Da Colledara a Firenze
Fedele Romani
R. Bemporad & Figlio, 1915, pagine 335

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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[ Testo della pagina elaborato con OCR ]

   cava, dovei accompagnarlo io col fischio dalla mia finestra fino alla svoltata. Di tanto in tanto nell'uscire di casa la mattina trovavo la soglia lorda di schifosi rifiuti. Era una dimostrazione d'inimicizia verso il padrone di casa.
   Delle latrine dicevano che erano luoghi indegni d'una casa pulita e avevano per esse un'avversione speciale. Una volta, un ingegnere delle ferrovie se n'era costruita a sue spese una nel cortile della casa da lui abitata. Quando fu trasferito, il padrone della casa lo fece chiamare in giudizio perchè demolisse a sue spese quell'indecente ingombro.
   Non era raro il caso di vedere in qualche vicolo le contadine accoccolate per attendere alle loro necessità e spesso avevano in testa il barile dell'acqua, perchè la città mancava di acqua e bisognava portarla di fuori coi barili e chi la voleva doveva pagarla. Questo naturalmente ne faceva lesinare l'uso e il sudiciume cresceva. Un mio amico una séra senti nell'acqua che la padrona di casa gli aveva posta sulla comodina un lontano sapore di acqua di colonia. Non sapeva trovarne la ragione, ma poi capi che gli avevan riempito la boccia con l'acqua della catinella con la quale s'era lavato il viso e dove egli aveva versato alcune gocce di acqua odorosa.
   La vita era possibile in luogo così poco pulito per l'aria che era ottima, essendo la città a più di 800 metri d'altezza e in cima a una collina, libera d'ogni riparo. I venti giocavano liberamente e allontanavano per quanto era in loro le emanazioni pestifere. Essi e le pioggie erano i principali impiegati della nettezza pubblica.
   Dall'aspetto del capoluogo potete rilevare quale dovesse essere quello dei piccoli paesi circonvicini, dei quali io ne visitai due, Tito o il Tito e Picerno. Ma che belle donne e che bei costumi variopinti fiorivano in quelle