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Colledara
- aggiuntovi: Da Colledara a Firenze
Fedele Romani
R. Bemporad & Figlio, 1915, pagine 335

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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[ Testo della pagina elaborato con OCR ]

   mento di far scuoia, rifarsi da capo e imparar tutto o quasi tutto da sè. Se qualche cosa mi riusciva veramente utile degli studii già fatti, era più quello che avevo imparato al Ginnasio e al Liceo che quello che avevo imparato all'Università. All'Università o non s'insegnava nulla o s'insegnava quello che poi non si doveva insegnare nel Ginnasio e nel Liceo; e le lezioni erano fatte, quando si facevano, più per mostrare la tronfia sapienza dei professori che per avviare i giovani all' ufficio di maestri. Del resto questo difetto dell'insegnamento universitario non è ancora scomparso.
   Ma il male è che a me avevano insegnato poco anche nel Ginnasio e nel Liceo: non dico che io stesso da parte mia non avrei potuto studiare di più ; la colpa chi non lo sa? non è sempre tutta dei maestri. Cominciai dunque a studiare con vivo fervore e cercavo di tutto per far meglio di quello che non avessero fatto con me i miei maestri ; la lampada che avevano data a me era mezzo spenta e io volevo passarla ai miei scolari nel suo pieno splendore. Perciò lavoravo lavoravo; e il mio lavoro era apprezzato dai miei scolari che mi seguivano pieni delle migliori disposizioni.
   Quando rifletto a quel mio giovanile ardore e a quello di tanti altri miei compagni d'Università, che si comportavano allo stesso modo e meglio in altri Istituti, non credo che sia superbia l'affermare che la nostra generazione è stata quella che in Italia ha, si può dire, creata la scuola secondaria; o per meglio dire, con la nostra generazione cominciò ad aversi una vera folla di maestri, che prendevano sul serio il loro ufficio e il loro dovere e ne sentivano tutta la dignità e l'importanza. Prima si avevano qua e là delle belle e gloriose promesse; ma erano casi troppo isolati e mancava la moltitudine. Que-