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Colledara
- aggiuntovi: Da Colledara a Firenze
Fedele Romani
R. Bemporad & Figlio, 1915, pagine 335

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   è come parlar dei proprii sogni e dei proprii amori: è un piacere per chi parla, ma una noia per chi ascolta. Ma vi sono dei casi speciali in cui certi argomenti possono riuscire non al tutto privi d'interesse per quelli che ascoltano; e perciò come ho fatto un'eccezione riguardo al mio amore infantile per Ernestina, la farò per i disturbi di salute che cominciarono a manifestarmisi a Cosenza. Mi pareva a volte che mi mancasse all' improvviso la forza del cuore; e questo abbassamento di vita era accompagnato da un'indescrivibile sensazione d'angoscia e dal terrore della morte imminente. Toccando i polsi si sentivano battiti piccoli, appena percettibili e rapidissimi, fino al punto di non poterli più contare. Il mio viso diventava pallido, l'aria stravolta e atterrita; e in quei momenti io soleva alzarmi e camminare, e s'ero in. casa uscivo in fretta quasi per sfuggire alla morte che m'investiva, e soprattutto per trovarmi tra la gente e chiedere il loro aiuto. I turbinosi e bassi palpiti dèi cuore erano accompagnati da guizzi dei muscoli del petto dalla parte del cuore. Gli accessi si risolvevano d'ordinario con abbondante sudore; ed io sentivo ricorrere, a poco a poco, la vita nelle vene. I medici mi dicevano che io ero pletorico, che avevo troppo sangue e che ero minacciato dall'apoplessia e che dovevo mangiare poca carne e molta verdura e soprattutto molta insalata condita con molto aceto. Questa diagnosi e questa dieta non faceva che accrescere la frequenza e la gravità degli accessi, i quali spesso mi pigliavano di notte e lo sgomento era indicibile. Ma il maggior mio tormento era vedere che molti credevano che il mio male fosse immaginario o che il vero male fosse nella fantasia. Questa benedetta fantasia tanto spesso calunniata, che rappresenta tutto e nulla. Non volevano ammettere che un uomo il quale cammi-