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Colledara
- aggiuntovi: Da Colledara a Firenze
Fedele Romani
R. Bemporad & Figlio, 1915, pagine 335

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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[ Testo della pagina elaborato con OCR ]

   ben più d'una lezione. Il Paolucci mi osservò attentamente, ma anche per lui il cuore stava bene, tutto stava bene; e il mio male doveva essere pura e semplice ipocondria; e pregò i miei amici di farmi distrarre e accompagnarmi spesso dallo Scarpetta al San Carlino, il quale in quel tempo era ancora in piedi. Ma San Carlino e le altre distrazioni non riuscirono ad allontanare il mio male. Un giorno fui ripreso dall'accesso terrificante mentre ero poco lungi dall' Ospedale e potei arrivare che durava ancora. Il Paolucci fu contento di osservarmi durante l'accesso. Io tremavo tutto in preda alla fiera agitazione e mi raccomandavo al medico perchè non mi lasciasse morire. Il Paolucci osservava qua e là e fischiettava pensoso e incerto. Quel fischiettare mi rassicurava un po' e pensavo che se io avessi proprio dovuto morire in quel momento il medico forse non avrebbe fischiettato. Ma ecco che mentre egli mi pendeva sopra tutto intento a cercar di spiegare gli oscuri fenomeni, gli giunse dalla mia bocca un odore caratteristico, l'odore d'un veleno ben noto ai chimici: l'acetone. I miei disturbi cardiaci erano dunque fenomeni di autointossicazione : io mi avvelenavo da me. Nel mio stomaco per le alterate funzioni digestive si produceva un veleno.
   La diagnosi era fatta, ma qual era il rimedio? Il Paolucci tentò mille vie e cercava come poteva di disinfettarmi lo stomaco e di darmi dei controveleni. Mi sottopose oltre a ciò alla così detta dieta carnea, allora in uso, che era per se stessa un continuo avvelenamento, mi proibì il vino e il filmo, e questo fu bene e specialmente fu bene lasciare il fumo, poiché io non escludo che l'abuso delle sigarette avesse potuto contribuire a darmi la strana e angosciosa malattia. Finalmente il male parve attenuarsi, ma non tornai a Cosenza ; presi invece