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Colledara
- aggiuntovi: Da Colledara a Firenze
Fedele Romani
R. Bemporad & Figlio, 1915, pagine 335

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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[ Testo della pagina elaborato con OCR ]

   un congedo e me ne tornai negli Abruzzi. Ma ecco che mi sopraggiunse un male peggiore. Le tante paure, i terribili sussulti nervosi, le frequenti angosce mi avevano, esaurito il sistema nervoso e fui preso dalla più profonda, dalla più tetra delle ipocondrie. Io non avrei mai creduto che un uomo potesse soffrir tanto e rimaner vivo. Tutto il mondo si oscurò per me, nulla più mi rallegrava; era cessata ogni corrispondenza tra me e la natura; il verde dei colli, il rumore del fiume nella valle, lo splendore del sole non mi dicevano più nulla; credevo di dover perder la testa da un momento all'altro; e questo pensiero non mi lasciava un momento solo; nessuna fiducia più nell'energia e nella durata della vita; temevo di camminare solo nelle vie e specialmente nei luoghi larghi e spaziosi dove non avrei potuto trovare un appoggio cadendo; m'incoraggiava la presenza d'un medico o la vicinanza d'una farmacia; il tempo che scorreva mi faceva spavento e non sapevo come riempirlo. Gli accessi angosciosi di palpitazione si ripetevano qualche volta, per altro con minor gravità di prima, ma le mie sofferenze morali erano maggiori di quelle provate negli accessi più gravi di convulsioni cardiache.
   Nell'ottobre, ossia al principio del nuovo anno scolastico, potei ottenere di essere trasferito a Teramo e di star così vicino alla mia famiglia. Le riprese occupazioni e la nuova residenza, dove io contavo tanti parenti e amici, cominciarono a poco a poco ad allontanarmi la niente dal pensiero della morte e dagli altri incubi tormentosi. Altri pensieri cominciarono a ripopolai il mio cervello ; la gioventù riprendeva il sopravvento e la salute tornava; ma non ostante quei miglioramenti, che col tempo vennero sempre aumentando, il mio sistema nervoso ritenne e ritiene ancor oggi le tracce dei sofferti, profondi disturbi.