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Colledara
- aggiuntovi: Da Colledara a Firenze
Fedele Romani
R. Bemporad & Figlio, 1915, pagine 335

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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[ Testo della pagina elaborato con OCR ]

   Contribuirono ad affrettare il rafforzamento della mia salute alcuni lavori letterarii che in quel tempo cominciarono a tenermi occupato e che insieme mi riempivano la vita e mi divertivano.
   Io avevo già composto qualche verso in dialetto: la mia dimora di quattro anni a Pisa, il contrasto tra il Toscano e il dialetto del mio paese mi avevano portato a fermare in modo speciale la mia attenzione su que-st' ultimo e a considerarne le forme, la fonetica e la sintassi; cosi di pensiero in pensiero m'ero sentito portato a tentar di scrivere nel mio dialetto. Ma quei primi tentativi mostravano in me la poca pratica che io avevo ancora nel notare i suoni del mio linguaggio nativo e nell'arte di trascriverli. Il mio dialetto è ricco di suoni spesso incerti e indeterminati, tanto per le vocali quanto per le consonanti, i quali non esistono nella lingua. Mi misi a riflettere e a studiare ; domandai il parere di persone competenti nella materia e arrivai a formarmi un'idea chiara e precisa dei suoni del mio dialetto e delle leggi che ne regolavano i mutamenti e cercai di trascriverli, per quanto era possibile, coi segni stessi della lingua: non credei conveniente di adottare sempre appositi segni per non rendere troppo difficile la lettura e presso che irriconoscibili le parole. Oltre a ciò io mi feci un'idea che scrivendo in dialetto bisognasse tenersi strettamente alla vera natura e alla vera indole di esso e non riempirlo d'italianismi e di trasposizioni letterarie per comodità di rima o di verso, come hanno fatto quasi tutti quelli che scrivono o hanno scritto in dialetto. Queste mie idee sulle regole da osservare nelle composizioni in dialetto e nelle trascrizioni di esso le attuai in alcuni sonetti che composi in questo tempo, sonetti nei quali volli rappresentare una delle frequenti visite fatte a Col-