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Colledara
- aggiuntovi: Da Colledara a Firenze
Fedele Romani
R. Bemporad & Figlio, 1915, pagine 335

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   casi principali della sua vita. Io poi detti la miglior forma che potei a quéi racconti non sempre ordinati e ben chiari, e ne feci un libretto che pubblicai più tardi, mentre mi trovavo lontano dagli Abruzzi. Gli amici e i conoscenti delle mie parti, e soprattutto i contadini, vedendomi passare spesso a cavallo a un mulo per andare a far visita al romito, non potendo indovinare nè comprendere quali fossero le mie vere intenzioni, credevano che cominciassi a perdere il cervello e che volessi farmi romito anch' io. Senza questo, essi non avrebbero potuto capire come potessi trovar piacere e interesse nella conversazione di quell'essere strano, che aveva ormai più le sembianze di un cadavere quatriduano che di un uomo vivo.
   Lavoravo dunque per la scuola e anche un po'per conto mio; ma l'età giovanile mi portava insieme a darmi un po'di bel tempo. In una stagione di carnevale, d'accordo con alcuni amici, miei commensali in trattoria, e con l'aiuto d'un impiegato della Prefettura che metteva a nostra disposizione una pietra litografica, pubblicai alcuni numeri di un giornaletto umoristico composto di sole illustrazioni fatte tutte da me e di poche parole che spiegavano le figure. Il giornaletto si chiamava Sor Paolo Bifolco, li nome era preso da un'antica statua romana, incastrata fin dai più antichi tempi in un muro della chiesa del Carmine di Teramo. Il popolo la chiama Paolo o Don Paolo e gli ha apposto anche il soprannome e cognome di befolco o bifolco, senza darsi alcun pensiero di sapere chi fosse e a qual tempo appartenesse. Di tanto in tanto gli ridipinge e rimette a nuovo i lineamenti, la tonaca e la toga e lo considera come un personaggio di famiglia, poiché a tutti esso ricorda l'infanzia e i vaghi terrori nel passargli davanti, a tutti ricorda le più solenni ricorrenze della vita della città, a cui il muto concitta-