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Colledara
- aggiuntovi: Da Colledara a Firenze
Fedele Romani
R. Bemporad & Figlio, 1915, pagine 335

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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[ Testo della pagina elaborato con OCR ]

   molti dicono, che il mal di mare se ne va appena messo il piede a terra.
   Arrivai a Sassari nel pomeriggio. La città mi fece un'impressione piuttosto favorevole: essa mi parve più bella che io non mi aspettassi. Era di domenica ; e poco dopo il mio arrivo, andai nella bella piazza Vittorio Emanuele a sentir la banda che sonava. C' era molta gente, uomini e donne. Quella musica e la vista di quelle persone che passeggiavano e discorrevano allegramente mi rifece un po'della noia del viaggio e del sentirmi solo così lontano, per la prima volta, da parenti e amici. La lontananza, benché per sé non fosse maggiore di quella che correva tra il mio paese e, per esempio Cosenza, la sentivo assai di più per via di tutti quei chilometri di mare, e s'aggiungeva anche la parlata così diversa dalla mia. Mi fece molta impressione sentire una signorina che diceva a una sua amica: cinnamus in domo (andiamo a casa) e mi parve che la distanza dal mio paese si svolgesse non soltanto nel luogo, ma anche nel tempo, e che fossi a un tratto, come per miracolo, tornato al tempo dei latini. Il sardo coi suoi s finali e con qualche parola latina o latineggiante, che ha serbato in certi casi dove il toscano, almeno apparentemente, ha tenuto altra via, dà l'illusione di esser più latino dello stesso toscano, il quale in realtà è la parlata più latina di tutte le parlate d'Italia. Questo superficiale carattere di forte latinità faceva dire a Dante che i Sardi imitavano la grammatica (il latino) tainquam simiae, come scimmie.
   La mattina dopo mi presentai al Liceo. Era dedicato ad « Azuni ». Anche nella piccola piazza della Posta c'era un monumento ad Azuni; e la trattoria dove mi consigliarono di prendere i pasti portava anch'essa il nome di Azuni; mi pare di ricordarmi anche un caffè