curarmi la cultura necessaria all' insegnamento liceale. Il passaggio dal Ginnasio al Liceo è un bel salto; ep-poi poco potevo giovarmi degli studii fatti all' Università, perchè all' Università, specialmente allora, tutto s'insegnava tranne che a insegnare nelle scuole secondarie.
Il mio studio era soprattutto rivolto alla Divina Commedia, che è la vera base dell'insegnamento di Lettere italiane al Liceo, e cercavo per quanto potevo di entrare nel pensiero del poeta. In questo mi fu di non piccolo aiuto il provveditore agli studii, noto dantista col quale avevo frequenti e piacevoli conversazioni.
Per la storia letteraria cominciai già fin da allora, non ostante la severa scuola di critica storica del D'Ancona da cui uscivo, a dar non molta importanza alle liste di nomi e di date, a richiamare l'attenzione dei giovani sullo svolgimento generale delle forme e del concetto letterario in Italia, e a fare frequenti confronti delle diverse arti tra loro.
Insomma molto lavoravo, pur basandomi su fatti precisi e ben accertati, molto lavoravo col mio cervello. Il mio insegnamento aveva un carattere eminentemente personale e cercavo di essere un maestro più che un professore; e, come deve ogni vero maestro, cercavo di far conoscere ai giovani non solo Dante, la storia letteraria e l'arte dello scrivere, ma anche un po'l'arie della vita.
E lion tardai a ripetere per la Sardegna quegli studii linguistici che avevo fatti per le scuole abruzzesi. La pratica fatta nello studio del dialetto abruzzese mi aveva ormai reso facile orientarmi nella conoscenza degli altri dialetti, nello scoprirne le leggi, nel rilevarne il carattere e le tendenze. E non passò molto e io fui al caso di scrivere i Sardismi, ossia una raccolta di quegli errori che,