condati. Per darci un po' di coraggio andavamo ripetendo a noi stessi: — Siamo maestri, siamo maestri. —
La campagna sarda, specialmente quando le ferrovie erano più scarse, era. più che mai adattata alle imboscate e alle aggressioni : cinquantine di chilometri senza un paese, senza una casa: folti cespugli e fratte qua e là, e alle volte si aggiungevano i solitari e misteriosi nuraghes, che possono anch'essi favorire gli appostamenti e trasformarsi in nascondigli.
Al ritorno, il viaggio fu senza paragone migliore: buona carrozza, buon cavallo; ma non mancò un momento di forte apprensione. A un certo punto la carrozza si-arrestò improvvisamente. Dal fondo di essa e attraverso i vetri che avevamo di faccia, vedemmo il cocchiere mettere fuori dalla cassetta una carabina; e, prima che noi gli potessimo domandare che cosa fosse successo, e che cosa volesse fare, la spianò e tirò un colpo. — Ci siamo, — pensammo, guardandoci spaventati l'un l'altro; volemmo ripetere: — Siamo maestri, siamo maestri! — ma le parole ci morirono in bocca. Subito dopo, vedemmo il cocchiere che invece di pensare a ricaricare l'arma, scese dalla carrozza con essa in mano e si diede a correre verso un cespuglio. Quando tornò, teneva per i piedi una bella pernice : il cocchiere l'aveva vista mentre la carrozza correva e aveva subito pensato a provvedersi d'una buona colazione; e, da eccellente tiratore, non aveva fallito il colpo.
A Cagliari fui mandato per una combinazione insolita e curiosa. Gli studenti e i padri di famiglia erano insorti contro il professore d'italiano di quel Liceo perchè, essi dicevano, era rigoroso e ingiusto e agli esami avrebbe fatto aspre vendette. Furono messi di mezzo molti deputati. Il governo, che cerca sempre di blandire