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Colledara
- aggiuntovi: Da Colledara a Firenze
Fedele Romani
R. Bemporad & Figlio, 1915, pagine 335

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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[ Testo della pagina elaborato con OCR ]

   genere e specialmente di quelle sarde che si cantano ballando. Egli era, mi pare, lombardo, ma le aveva imparate nei suoi frequenti viaggi nell' isola. Portava con sè, come soleva far sempre, un vestito da ballerina nella valigia, e quando l'indossava e danzava riusciva.veramente comico, senza cader mai nello sguaiato e nel volgare. Avevamo formato sul piroscafo un piccolo mondo, che come sempre accade nelle folle chiuse e circoscritte si era subito organizzato, e ognuno aveva preso il posto che gli veniva dal suo ingegno, dalla sua cultura e dal suo carattere. Avevamo con noi un pianoforte e ogni sera c'era musica e festa da ballo, e le danze erano spesso rallegrate da fasci di luce elettrica che ci mandavano gli ufficiali di una nave da guerra che era nel golfo per sorvegliarci. Prima di andare a dormire a mezzanotte c'era sempre il thè. L'arcivescovo prendeva parte alla festa per quanto glielo permettevano il suo abito e il suo grado. Era un uomo dal contegno austero, ma nello stesso tempo abbastanza spregiudicato e disinvolto. Naturalmente non potevamo andar d'accordo in tutte le nostre idee. Un giorno mentre eravamo affacciati l'uno accanto all'altro a bordo del piroscafo e ci divertivamo a guardare un delfino che ogni tanto, secondo il suo costume metteva fuori la schiena, l'arcivescovo esclamò: — E pensare che tanti animali che vivono sotto le acque sono tutti stati creati per l'uomo! — Io non fui proprio del suo parere e intavolammo una lunga, benché inutilissima, discussione.
   Insomma, non ostante le molte privazioni e i molti sacrifici ci eravamo a poco a poco talmente abituati a quella vita, che quando venne l'ordine di scioglierci e di scendere a terra, quasi quasi ne fummo addolorati.
   L'anno seguente per evitare l'obbligo della quaran-