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Il Comune Teramano
nella sua vita intima e pubblica
Francesco Savini
Forzani e C., 1895, pagine 612

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   92 Parte III - II comune teramano nell' évo medio.
   « Pietro Arciprete, Lupo Prete e Mansionario, Pietro di Giovanni « e Marcelle Diacono, il primo in qualità di messo e i tre altri di « estimatori ». Si noti qui che, oltre gli estimatori, simili a quelli del precedente documento dell'891, si nomina il messo vescovile, il quale, siccome abbiamo visto al § 2, era ordinariamente il delegato del vescovo e qualche volta avea la qualità di messo imperiale. In questo nostro caso però appare nella prima qualità di semplice rappresentante, cioè del vescovo in un atto privato. Fra i nostri uffiziali vescovili non sono da tacersi i boni homines, i quali, diversi da quei buoni uomini cittadini più indietro (cap. Vili, § 6) descritti, ci appaiono nei documenti di doppia natura o di semplici periti, a dir così, agrimensori siccome nelle carte or ora citate dell'891 e del 1050, o di veri e proprii magistrati vescovili, siccome qui ci proponiamo di vedere. Difatti tali essi ci si presentano nei due editti vescovili del 1165 e del 1173, che noi daremo in fine di questo scritto (nn. Ili e IV). Ivi dunque si stabiliva che nelle controversie tra cittadini « boni homines nostri iudicaverint « vel reconcordaverint », cioè che potessero giudicare i litiganti o conciliarli, il che è proprio dei giudici. La cosa è tanto più notevole in quanto che nell'editto del 1207, con cui il vescovo Sasso concedeva ampia libertà municipale ai Teramani (doc. V), tale competenza di giudizio o di conciliazione si trova concessa, non più ai buoni uomini vescovili, sibbene a quelli cittadini; « vestri « (ivi si dice ai Teramani) boni homines ». Si noti non pertanto che siffatti buoni uomini non erano i veri e proprii giudici, giacché questi in esso editto del 1207 son mentovati col nome di iudices. Quindi noi li considereremo come rappresentanti giudiziarii od assessori, i primi del vescovo quando la costui podestà era piena in Teramo e i secondi del nuovo comune teramano, quando esso ottenne a sua volta tutti i municipali privilegii. Dei quali buoni uomini popolari dovremo quindi riparlare-al capitolo che qui segue del libero comune.
   6. Ed ora passiamo alle relazioni dei nostri vescovi coi conti aprutini, la cui notizia pur gioverà a quella dello svolgimento del dominio secolare dei vescovi. Esse per verità erano ottime, come provano le molte donazioni che i conti facevano ai vescovi, dei cui atti abbondava il cartolario e che qui non è il luogo di riferire. Ciò mostra che anche fra noi si adempiva così a quella reciproca concordia e mutuo aiuto che, come sopra abbiam veduto (§ i), tanto inculcavano nel secolo ix gl'imperatori carolingi. Èrano altresì i vescovi molto onorati dai conti e noi stessi ab-

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