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si mostravano. Le dae massime equipollenti, Vis unita for-tiorj e, Divide et impera, simboleggiate ne9 fasci de9 littori, eran proprie de7 Romani.
Tale indole de' Romani, conforme alla civiltà delle nazioni, come nascer dovea dall'indole sensibile> imitativa ed ingegnosa del popplo latino, così dovea svilupparsi dalla vigoria sempre crescente ; 1.° degli affetti, onde i Latini furono i più grandi amatori della gloria, e l'onestà latina 'venne dalla fatica e si confuse con la gloria; 2.° della carità, perchè V amor della patria, che in Roma giunse finanche al fanatismo, non poteva nascere se non dall' affetto • verso gli altri e dal soffogare l'amor proprio, onde in Roma furon famose le massime di Orazio :
. . . Gum ardet Ucalegon Res tua argitur ;
e di Terenzio :
Homo sum, nil humani a me alienum puto ;
e, se prima si amava il nome latino, a non molto i Romani pugnarono pel nome italiano, e finalmente per tutta l'umanità, pei Romani data alle genti. Questo pppolo guardava sempre a *
Parcere subjectis et debellare superbos,
perchè il proprio' Genio dicevagli :
Tu regere imperio populos, Romane, memento.
3.° Della equità, perciocché io tanta potenza i Romani furono i più grandi mantenitori del dritto delle genti, e coloro che dicono ladroni i Romani, guardino agli esempi di equità che i potenti usano di dare in tutti i tempi. Ghe se i Romani distrussero Cartagine, i Romani non erano andati a pugnare in Africa per conquistare od alleviarsi di temuta fervida gioventù col pretesto di civilizzare i barbari; i Romani non corsero a distruggere istituzioni civili ed universalmente desiderate di un popolo amico e debole per mantenere saldo l'arbitrio con infame attentato alla civiltà; ma
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