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Opere Complete
Volume Terzo
Giuseppe Devincenzi
Giovanni Fabbri Editore, 1914, pagine 465

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   angolare su cui si è assisa la scienza dell'agricoltura, die è stata la maggior conquista della civiltà moderna.
   In quei tempi da noi non lontani non si parlava di scuoio nò primarie uè secondarie, e tanto meno di scuole agrarie elementari; ma si attendeva solamente all'applicazione dei principi della scienza all'agricoltura. Si trattava di ricercare e d'insegnare come ci potessimo avvantaggiare di questa che ora chiamiamo scienza dell'agricoltura. Quindi è che l'inseguamento, come quello del Thaer e di tanti altri, non serviva ad istruire i pratici coltivatori, ma coloro che dovevano dirigere le aziende rurali, che debbono saperne molto più degli stessi pratici coltivatori delle cose dell'agricoltura, e coloro che volevano dedicarsi ai vari rami dello insegnamento, e di cui già si prevedeva la necessità nelle società civili.
   Il pratico coltivatore continuava a sapere quello che sapevano i suoi maggiori, quello che gli era stato tramandato per tradizione. Era la tradizione che faceva l'agricoltore; e lino al 1844 o 1845 è stato così.
   La scienza non era per ver un modo ancora penetrata nella pratica. Dalla scuola non era discesa nei campi.
   Il primo e vero fondatore della scienza agraria, che tutti quanti riconosciamo essere stato il Liebig, fu contraddetto potentemente, in modo che in Inghilterra si creò un grande Istituto da un facoltoso privato, che è il Lawse, uomo divenuto poi celebre per gli studi fatti unitamente al Gilbert, a bella posta per contraddire alle sue dottrine.
   Il Lawse ha speso centinaia di migliaia per contraddire alle teoriche del Liebig. Ma questa spesa e queste contraddizioni ci han rivelato tante verità, che sono state veramente quelle che hanno confermato la scienza dell'agricoltura.
   Ho voluto ricordare queste cose anche per far comprendere come altrove si caldeggi l'agricoltura e come vi sia avvenuto quel progresso che ammiriamo. Il maggior pericolo che l'agricoltura corre in un paese è l'indifferenza dell'opinione pubblica verso di essa.
   E qui mi giova il ricordare come quell'illustre e benemerito agricoltore, il Lawse, alcuni anni fa, già fatto vec-