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Opere Complete di Pancrazio Palma (1781-1850)

Giovanni Palma (a cura di)
Giovanni Fabbri Teramo, 1912, pagine 572

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a cura di Federico Adamoli

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   DI PANCKAZIO PALMA 393
   noi cento floride città, che una volta contavansi nel regno; mentre l'argomento va piantato in ordine inverso così : noi non abbiamo conto città ricche per centralità, per commercio e per arti; dunque non possiamo avere diligente generale coltivazione. E non si possono crear prodotti per mandarli all'estero! È questo un altro inganno de' nostri pensatori, anche sommi. Non altro si sogna che vedere tutte le nostre strade ingombre di cereali, d'olio, di vino* di séta ecc. avviati ai nostri-porti, ed ivi imbarcarsi per esteri paesi, che dovrebbero comprarli a pronti contanti o con vantaggiosi cam'bì. Sì, io dico, noi possiamo costringere gli stranieri a comprarle. Ed allora cosa addiverrebbe un'industria agraria fondata sull'esportazione che fallisse? Pnò dirsi che già siamo in questo caso, se si osserva il prezzo de' cereali caduto al di sotto della spesa di produzione. Con-tuttociò ci si ripete: migliorate, aumentate, spendete, senza riflettere che il negozio a perdere si fa per pochi anni, e poi si ristringe o fallisce.
   Facciamo l'applicazione degli esposti principi. Due essenziali stimoli mancano alle nostre produzioni: grandi e ricche città; industria marittima e manifattrice.
   Tutte le belle città d'Italia' sono sorte o rifiorite nei bassi tempi colla successiva aggregazione de' feudi e castelli circostanti, i di cui signori vi han trasportato i loro diritti e le loro rendite, vi hanno di poi edificato superbi palagi, ed alimentate col loro lusso le arti. Ogni città diveniva capitale di molte castella, sede di un governo municipale o principesco. Le più grandi,, non paghe di pacifiche aggiunzioni, dilatarono la dominazione con guerra e crebbero in opulenza a proporzione del dominio. Formati gli attuali stati, ogni città ritenne la supremazia del suo distretto, e generalmente fu un capo di piccola provincia. Quasi lo stesso fu del nòstro regno, finché sussistette la divisione per contee. Allora le tre provincie di Api-uzzo si dividevano nelle contee di Apruzio, Penne, Valva, Faraone, Amiterno, Marsica e Teate. Ma piacque al re Federigo di Svevia riunirle in un solo giustizierato, i cui magistrati, prima senza fissa residenza sino al regno dell'imperatore Carlo Y, si fer-

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