21 marzo 1900 - 18 aprile 1900

(Prima Parte)

I complici di Acciarito
Corte d'assise di Teramo

       Ieri nel nostro Circolo delle Assise, ove è stato rinviato da Roma per legittima suspicione, è cominciato il dibattimento contro Diotallevi, Ceccarelli, Gudini e Collabona, accusati di complicità con Pietro Acciarito che nel 22 aprile del 1897 attentò contro la vita del Re.
       Un altro coaccusato, Trenta Cherubino, è contumace.
       Ecco in succinto come si sono svolti i fatti:
       Fin da quell'epoca l'autorità si diede a ricercare se l'Acciarito avesse complici, e furono fatti vari arresti di anarchici; anzi fu iniziata contro gli attuali accusati e contro altri una regolare istruttoria, che però si chiuse con non luogo a procedere per insufficienza di indizi.
       Nell'autunno 1898, il cav. Doria della Direzione generale delle carceri, pensò che l'Acciarito, già fiaccato dalla segregazione cellulare, potesse fare qualche rivelazione; e fu a questo scopo mandato a dirigere le carceri di Santo Stefano un abile impiegato, il sig. Angelelli Alfonso.
       Questi cominciò subito l'opera sua, e pose accanto alla cella di Acciarito un tale Andrea Petito, esso pure condannato all'ergastolo, affidandogli l'incarico di fingersi un terribile anarchico, per conquistare la fiducia e raccogliere le confidenze di Acciarito.
       Mercé molta astuzia da parto del Petito, una esaltazione entrò nello spirito di Acciarito; gli si disse che aveva resa madre la sua amante Pasqua Venarubba. Quando il regicida seppe di essere padre di un bimbo — che però non esisté mai — si decise a fare una domanda di grazia al Re, e la scrisse infatti nel gabinetto del giudice istruttore il giorno 2 del dicembre 1898: in questa domanda di grazia accusò Diotallevi e Ceccarelli.
       Subito si iniziò il procedimento contro questi due; e siccome un mese dopo egli spedì una nuova domanda di grazia al guardasigilli, nella quale accusava Collabona, Gudini e Trenta, si estese anche a questi tre l'istruttoria.
       Trasportato a Roma l'Acciarito, fu successivamente messo di fronte a Collabona, Diotallevi, Gudini e Ceccarelli; i confronti riuscirono drammaticissimi e qualche volta violenti, poiché mentre l'ex anarchico accusatore dichiarava di essere stato determinato od aiutato a tentar di uccidere il Re dai quattro imputati, e dichiarava di proclamarlo ad alta voce per salvarli, i singoli accusati si rivoltavano contro di lui, rimproverandogli di mentire.
       In base, però, alle rivelazioni di Acciarito la Sezione di accusa — su conformi conclusioni del sostituto procuratore generale Tofano — con sentenza del 28 aprile 1899, rinviò i cinque imputati dinanzi ai giurati di Roma.
       La causa cominciò dinanzi alle Assise di Roma il 22 giugno. Furono dibattimenti agitati, nervosi, ricchi d'incidenti formali, ultimo quello con cui i difensori di Ceccarelli chiedevano fosse ordinata una perizia medica, che decidesse dello stato mentale di Acciarito.
       La Corte respinse questa istanza, come le altre, ed allora gli avvocati difensori si ritirarono; altri difensori nominati d'ufficio si rifiutarono, e la causa fu rinviata.
       Più tardi si seppe che la Corte di Cassazione, su istanza del procuratore generale Forni, destinava il processo alla Corte di Assise di Teramo.
       La prima udienza era fissata per sabato, 17, ma non durò che il tempo necessario per la costituzione della giuria. Quindi il dibattimento fu rimandato a ieri.


       Udienza 20 marzo.

       Sono passate le 11 e mezza quando l'usciere annunzia la Corte. Il presidente ha dovuto perder tempo nel soddisfare le richieste dei posti per la tribuna riservata e per i corrispondenti dei giornali.
       Molto pubblico, naturalmente, nell'aula, e un grande sfoggio di carabinieri e guardie, con a capo il capitano dei carabinieri Bernasconi e l'ispettore di P. S. Alinei.
       La Corte è così composta: presidente cav. Rulli cons. di Corte di Appello; giudici Guerra, Messeri e Grumelli supplente; P. M. il sostituto proc. generale Paletti; vice-cancelliere Catallo.
       Gli avvocati difensori si costituiscono in collegio di di lesa, il quale rimane così composto: avvocati Albano, Brenna, Ciraolo, Gotti, Mazzolani di Roma; avvocati de Michetti Felice, Tanzi Cesare e Zefirino, Rodomonte, Rocco di Teramo. Giungono più tardi gli altri avvocati di Roma, Zerbinati, Ranzi o Positano.
       Nei banchi della stampa sono rappresentati il Corriere della Sera, la Tribuna, il Giorno, il Messaggero, il Corriere d'Italia, il Resto del Carlino, la Gazzetta dell'Emilia, l'Avanti, l'Italia, il Mattino ed altri giornali ancora; della stampa locale, il Corriere Abruzzese, il Centrale e la Provincia.
       Gli accusati siedono nell'ordine seguente: Collabona, Gudini, Ceccarelli e Diotallevi. I due ultimi sono bei giovinotti robusti, con occhi o baffi scuri, vestiti di nero. Il Gudini è un giovinetto imberbe, il Collabona, un tipo bonario di operaio.
       Dopo, l'appello dei giurati, il cancelliere comincia a dar lettura del lungo atto di accusa, il quale si fonda principalmente, anzi esclusivamente, su le rivelazioni abbastanza curiose di Pietro Acciarito.
       Questa lettura occupa oltre un'ora. Quindi l'avv. Brenna chiede la parola per sollevare incidente affinché l'ordinanza del presidente con la quale si escludeva il teste a difesa Calcagno venga revocata e si ordini invece che il Calcagno sia citato a comparire in questo dibattimento. Non crede che a ciò si oppongano ragioni fiscali.
       Presidente. Ma fu ragione di opportunità più che di fiscalità che consigliò l'esclusione del Calcagno, perché su la stessa posizione è stato indotto altro testimone.
       P. M. Non si oppone alla richiesta della difesa e si rimette alla Corte.
       Avv. Brenna. La ragione di fiscalità non è a considerarsi in un processo di tanta importanza, poiché il viaggio da Londra alla frontiera di Pietro Calcagno costa nulla in confronto di quel che costa il processo. Inoltre, su la stessa posizione, ben otto testimoni sono stati indotti dal Pubblico Ministero, mentre se ne contrasta uno alla difesa.
       Insiste nell'incidente.
       La Corte accoglie l'istanza e ordina la citazione di Pietro Calcagno, disponendo perché l'ordinanza venga trasmessa all'ambasciata italiana a Londra.
       Un secondo incidente è sollevato dall'avv. Albano perché la Corte ammetta in difesa degli accusati la citazione dei periti psichiatrici professori Lombroso, Filippi e Bianchi, che con la loro alta e incontestata autorità, assistendo al processo, diano il giudizio sulle qualità psico-patologiche di Pietro Acciarito, dopo due anni della sua prigionia cellulare.
       Il Pubblico Ministero non trova necessaria la presenza di tali scienziati, potendo i giurati giudicare da essi stessi sull'attendibilità del testimone Acciarito.
       L'avv. Albano replica confutando vibratamente la qualità di semplice testimone in Acciarito, che è invece complice ed accusatore.
       Mentre la Corte si ritira, alcune graziose signore vengono ad allietarci con la loro presenza nella tribuna riservata.
       La Corte respinge l'incidente sollevato dall'avv. Albano, il quale in nome del collegio di difesa protesta.
       (Come abbiamo riferito più sopra, fu questo stesso incidente, respinto dalla Corte di Roma, che diè luogo al ritiro degli avvocati difensori e al rinvio della causa.)
       Terzo incidente. E' sollevato dall'avv. Brenna per l'inclusione del teste Cerquetti, necessario perché unico sulla posizione, e del teste on. Andrea Costa.
       L'avv. Ranzi si associa, perché il Costa dovrebbe smentire di aver pronunziate in una conferenza tali frasi sovversive, per le quali il Diotallevi avrebbe determinato l'Acciarito al regicidio.
       La Corte rigetta anche il terzo incidente.
       E gl'interrogatorii sono rinviati a stamane.

I complici di Acciarito
Corte d'assise di Teramo

       Gli interrogatorii.

       Udienza 21 marzo — Primo ad essere interrogato è il Collabona. Egli parla in schietto accento romanesco. Capitai — egli dice — a lavorare nella bottega di Acciarito perché ero disoccupato, non perché egli fosse anarchico, e nella bottega fra i ferri non ho mai visto un pugnale. Non ho mai saputo nulla dei disegni dell'Acciarito. Un giorno mi disse che voleva vendere i ferri e partirsene per l'America.
       Io lo condussi da alcuni ebrei, con i quali si contrattò per 25 lire la vendita. Avuto il denaro, Acciarito mi pagò da mangiare e da bere. Nel pomeriggio del giorno appresso mi portò su una botticella fuori porta Furba, e là vidi che buttò una pistola vicino alla marrana, bruciò alcune carte e sotterrò un pugnale. Gli chiesi: che fai? - Che t'importa? rispose lui, e io pensai che, dovendo partire per l'America, non volava tenere quegli oggetti indosso. Il lunedì, tornando a casa, seppi da mia moglie piangente che v'erano state le guardie a fare una perquisizione. Allora, preoccupato, andai in cerca di Acciarito e lo trovai nell'Albergo della Bella Napoli presso la Stazione, insieme con la sua amante Pasqua. Egli mi rassicurò dicendomi di non aver paura che egli non aveva fatto nulla, e mi raccomandò di non dire ai suoi parenti di averlo visto.
       L'accusato termina commosso, esclamando: L'Acciarito m'accusa, perché io sono stato testimone a carico di lui, io ho scoperto al delegato ove Acciarito aveva nascoste le armi, io ho tutto raccontato! Mi tengono innocente in carcere, e nel frattempo mi è morto un figliuolo di fame. Io non so niente di cose politiche, e non potevo aver cuore di commettere un delitto contro il Re, dal quale ho anche ricevuto qualche beneficio.
       A domanda della difesa, risponde di non aver mai conosciuto né Ceccarelli né Diotallevi.
       S'interroga quindi il Gudini, che all'epoca del reato aveva soli 16 anni. Essendo amico di Collabona ebbe occasione di conoscere Acciarito, non come anarchico, ma come socialista. Si trovava all'osteria di Flora Di Stazio quando le guardie entrarono per cercare Acciarito. La madre di questi lo accompagnò a cercarlo in casa di Collabona, quindi il Collabona e lui trovarono Acciarito in un albergo presso la Stazione. Andiamo dal delegato, gli disse il Collabona, così si aggiusta tutto. Perché credevano che si trattasse di qualche debito. Ma Acciarito non volle muoversi.
       Un giorno, nella bottega di Acciarito, mentre in un giornale si leggeva degli anarchici di Barcellona, lo sentì dire: bisogna finirla co' sti capoccioni, alludendo al Re.
       L'avv. Zerbinati vuole si noti in verbale che il presidente ha letto un brano di una lettera che il padre di Gudini scriveva al figlio rimproverandolo di aver frequentato male compagnie.
       L'accusato continuando nega che egli avesse accompagnato Acciarito a rintracciare le armi dove le aveva lasciate e che lo avesse assistito fin quasi al momento dell'attentato. Egli in quel giorno stette a una festa da ballo in via Machiavelli ove aveva appuntamento con la sua ragazza, e non è vero che vi fosse entrato con gli abiti infangati. Egli non sa nulla né di anarchia, né di socialismo né di altro.
       Il Gudini mentre parla è molto nervoso e si asciuga la fronte col fazzoletto.
       Viene la volta del Ceccarelli, tipo di operaio intelligente e buon parlatore; soffre di asma bronchiale.
       Sono troppo leale, egli comincia, per negare di essere anarchico, e per questo fui al domicilio coatto; di ritorno appresi la morte di mia madre per crepacuore! Mi accusano di complicità, ma è un pallone gonfiato dalla P.S.; io invece ho cercato di evitare l'attentato al Re. Se negai di conoscere Acciarito, si capisce perché: temevo ciò che pur troppo è successo, d'essere arrestato e processato sebbene innocente, perché questa è la nostra sorte. Conobbi per caso Acciarito sulla fine del 1896 o sul principio del 1897, ma non ho avuto mai intimità con lui. Un giorno mi trovò per avvertirmi che Diotallevi aveva a dirmi una cosa seria. Che cosa ? — domandai. — Te lo dirà lui — mi rispose e ci lasciammo. Pochi giorni dopo incontrai Diotallevi che mi disse: — Sai che quell'Acciarito si è messo in mente di commettere un grosso fatto? Ma è un pazzo, un epilettico! — Per carità, risposi io allontanandomi, che non faccia sciocchezze.
       Una settimana prima dell'attentato l'Acciarito trovò me e Diotallevi per dirci che aveva deciso di uccidere il Re. Allora ambedue inveimmo contro lui spiegandogli che sarebbe stata un'azione indegna, perché il Re ha benemerenze verso il popolo, ed egli si sarebbe reso strumento di reazione. Egli ci lasciò chiamandoci vigliacchi. Non ci pensavo più quando nella sera del 22 appresi dai giornali l'attentato.
       Non ho mai frequentato le osterie perché non bevo vino.
       Termina dicendo ch'egli è un onesto e assiduo lavoratore e lo sanno quelli che lo hanno visto sputar sangue; invoca la giustizia che non deve esser serva di passione politica.
       Ultimo è il Diotallevi, che parla con agitazione, con voce alta sebbene un po' balbuziente, e con accento di sincerità. Egli apparteneva alla federazione socialista e conobbe disgraziatamente Acciarito perché erano vicini; per questo qualche volta si scambiavano i giornali del partito. Quando Acciarito mi disse che voleva fare un fatto d'azione e voleva uccidere il Re, io lo sconsigliai fortemente e me ne guardai. Acciarito richiese a me e a Ceccarelli un fucile e degli abiti civili, ma ci rifiutammo maltrattandolo e ritenendolo un pazzo. Una sera mi mostrò un pugnale e mi minacciò; io gli dissi: ma vatti a gettare a fiume: e lo misi da parte con un urtone. Seppi mentre lavoravo alla Cooperativa che egli aveva attentato al Re.
       L'accusato, agitatissimo, conchiude: Ora Acciarito, mi viene ad accusare. Perché lo fai? Se tu hai Pasqua, io ho mia madre che si muore dal dolore!
       E sua opinione che Acciarito fosse un agente della P.S.
       L'avv. Ciraolo fa notare che, mentre il Diotallevi è designato da Acciarito come capace di rubare, invece nella federazione socialista una volta si oppose alla riammissione d'un socio che si era appropriato di un temperino, benché fosse suo amico.
       Il Presidente ha fatto lunghe contestazioni agli accusati.
       La seduta è tolta che son quasi le ore 18.


       I rapporti della questura.

       Udienza 22 marzo — In principio della seduta Diotallevi e Gudini spiegano il perché di una lettera che il primo scriveva al secondo nelle carceri raccomandandogli di dire che non lo conosceva. Dalla risposta del Gudini è chiaro che nessuna conoscenza vi era fra i due.
       Buona parte dell'udienza è occupata dalla lunga e noiosa lettura dei rapporti della questura, che dipingono a foschi colori il preteso complotto e gli accusati.


       I testimoni. - Un incidente.

       Comincia la sfilata dei testimoni a carico. Entra primo Petrongari Eugenio. Il giorno 22 aprile circa un'ora e trequarti, mentre si recava alle Capannelle per vedere le corse, incontrò il Gudini che salutò. Non si accorse se fosse scalmanato e sudato. Diversi mesi dopo l'attentato, trovandosi col Ceccarelli, e avendo salutato il Gudini che si trovava a passare, il Ceccarelli gli domandò chi fosse, e lui rispose: E' quel giovane imputato come complice nell'attentato. Ceccarelli gli domandò se era anarchico ed egli rispose: Ma che anarchico, se è un ragazzaccio che passa l'intera giornata a giocare a piastrelle! Conosce il Ceccarelli per giovane lavoratore, di buonissima condotta.
       Alessandroni Enrico. Non è stato alle Capannelle il 22 aprile, né fuori Porta S. Giovanni. Non ha incontrato Gudini in nessun posto quel giorno, né l'ha mai sentito tare discorsi politici.
       Bracci Riccardo. Non conosce Gudini che di vista. Si recò alle Capannelle il giorno dell'attentato verso le due, ma non incontrò Gudini.
       L'avv. Zerbinati chiede più volte se son questi i testimoni d'accusa.
       Magni Giovanni. Qualche giorno dopo l'attentato, Gudini, ch'era ricercato dai questurini, si rivolse a lui per consiglio, poiché era stata guardia municipale. Lo persuase a recarsi in questura : vi andò infatti, come seppe la sera dall'ostessa Di Stazio. Lo conosce per un buon giovane.
       Politti Nicola. Conosce Gudini perché andava spesso in bottega sua quando era libero. Non ricorda se avesse sentito dire che fosse uno della combriccola di Acciarito. Conferma i suoi precedenti esami.
       Sorge intanto un vivace incidente, promosso dall'avv. Ciraolo ed a cui prendono parte parecchi difensori.
       Avv. Ciraolo: Chieggo al Presidente perché una guardia in borghese si trovi vicino al banco dei giurati. E forse costume del paese?
       Presidente. Nossignore, vi si trova solo per impedire che la gente si affolli vicino ai giurati.
       Un giurato si alza per protestare contro la presenza della guardia, che impedisce di prendere liberamente quegli appunti che si credono opportuni.
       Avv. Zerbinati. Prego il Presidente perché la guardia in borghese cambi posto e ciò per rispetto a noi, ai giurati, a voi stesso.
       Il Presidente fa allontanare la guardia.
       L'avv. Ciraolo vorrebbe quindi leggere un telegramma riportato sul Resto del Carlino, in cui si dice che la questura di Roma va da alcuni giorni per le case dei testi a discarico nell'attuale processo, col pretesto di chiedere generalità, però forse allo scopo di intimidazioni; ma il Presidente vi si oppone recisamente. Viene il teste?
       Di Stazio Romolo, oste. La sera del giorno precedente all'attentato le guardie cercarono di Acciarito nell'osteria. Il teste si recò con Gudini ad avvertire la madre di Acciarito, e voleva consigliarlo di presentarsi in questura. Non lo trovarono e allora fu deciso di trovarlo il giorno dopo, come fecero Gudini e Collabona. Non conosceva le opinioni politiche dei suoi avventori.
       Perini Maria. E' una giovane bionda, detenuta per truffa. Amante del Gudini, gli rivolge sovente lo sguardo. Il giorno dell'attentato si recò in sala Morriconi a ballare, dove aveva dato convegno al Gudini. Questi vi andò alle 2 ¼ impolverato e bagnato fino alla metà del ginocchio e così sporco che ella si vergognava di ballare con lui. Gudini chiese subito quale ora fosse a Morriconi e gli disse d'essere stato a lavorare alle Capannelle. Era venuto passando per i campi.
       L'avv. Tanzi prova che la teste è deficiente di mente e che quando rese la prima testimonianza era appena uscita dal manicomio, ma solo migliorata.
       Si toglie l'udienza.


       Continuano i testimoni.

       Udienza 23 marzo — A richiesta degli avvocati Albano e Rodomonte, il teste Di Stazio, richiamato, ammette che fra i frequentatori della sua osteria v'era il maggiore dell'esercito Biraghi a riposo, decorato al valore, e certamente non anarchico. Esclude che prima dell'attentato le guardie vi andassero, come ad un sito sospetto.
       Seguono parecchi altri testi i quali tutti erano frequentatori dell'osteria Di Stazio, hanno conosciuto il Gudini come un burlone e non come anarchico, non hanno mai inteso da lui l'intercalare: sentirete il botto. La teste Marinelli, madre del Di Stazio, aggiunge che la sera prima dell'attentato il Collabona si recò nell'osteria con Acciarito e più tardi vennero le guardie a ricercare di quest'ultimo. Riferisce le lagnanze di Collabona per la perquisizione subita. Da molto tempo prima l'attentato il Diotallevi non era più stato nell'osteria.
       Serafini Giovanni, cantoniere ferroviario. Non ricorda se nel giorno dell'attentato due sconosciuti avessero attraversato il binario lungo via Tusculana ed egli li avesse rimproverati.
       Valeri Giuseppe. In un'osteria, da lui condotta in Via Macchiavelli, convenivano Collabona e Gudini, e qualche volta Acciarito. Gudini, dopo aver bevuto, soleva dire: Siamo anarchici. Il teste è incerto nel rispondere se i tre discorressero fra loro e con altri in modo sospetto; ma ciò sarebbe avvenuto molto tempo prima dell'attentato, perché l'esercizio del Valeri fu chiuso nel settembre 1896.
       La difesa dà come sospetto questo testimone, della deposizione del quale si è servita la Pubblica Sicurezza, e gli fa una quantità di contestazioni. Non manca qualche battibecco fra il Presidente e gli avvocati. Anche il Gudini si riscalda col teste.
       Serafini Serafino, esclude recisamente che Acciarito o solo o in compagnia di Gudini si fosse recato alcuna volta nell'osteria Valeri. Il teste, col Gudini ed altri amici, frequentavano quest'osteria perché vi veniva una ragazza allegra, figlia di un porchettaro (ilarità).
       Anzi il Gudini l'accompagnava qualche volta.
       Avv. Brenna: Ecco la ragione dei ritrovi, altro che anarchia e complotti ! Si noti in verbale.
       Teste: Signor presidente, faccia pure notare che quella ragazza sarebbe venuta con me, se le avessi voluto regalare un paio di calze di seta! (grande ilarità).
       I testi Serafini Vespasiano, Riguzzi e Ciuppi, confermano il deposto del teste precedente.
       Si sospende la seduta per pochi minuti.
       Molte signore assistono dalla tribuna riservata. Il pubblico cresce di giorno in giorno nelle udienze.
       Salvatori Giulio, professore di lettere nel Liceo Mamiani di Roma. Conosceva il Collabona e la sua famiglia e ne aveva buona opinione. Dopo l'attentato sentì la moglie di Pietro, Enrichetta, un po' bisbetica, dire solo come un suo apprezzamento: Eh, si sa, in questi casi si fa alla conta, a chi tocca. E' sua opinione che il Collabona non avesse parte nell'attentato, e sa che è di principii religiosi.
       Si dovrebbe sentire adesso la madre di Acciarito e poi la Pasqua Venarubba amante di Acciarito ma la Corte consente, a richiesta della difesa, che vengano intese dopo di lui.
       Said Abramo, è l'ebreo che comperò gli arnesi di bottega dell'Acciarito, ed esclude di aver visto un pugnale. Il contratto fu fatto con Collabona, e nel momento di caricare la roba non vide se col Collabona vi fossero altri.
       Zalfati Pacifico. Era col Said quando si combinò l'acquisto della roba, il contratto fu fatto con un solo individuo.
       Pavoncelli Vittorio. Acquistò la roba, insieme col Said, non vide un pugnale.
       L'avv. Albano dichiara di rinunziare a sollevare incidente contro la inclusione di alcuni testimoni d'accusa indotti nella lista aggiunta.
       C'è ancora qualche osservazione intorno al licenziamento dei testi uditi, e poi ce ne andiamo.

       A martedì prossimo l'udizione di Pietro Acciarito, ciò che sarà il clou del dibattimento.

(Seconda Parte)



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