Federico Adamoli
Lo Scudo d'Abruzzo. Tra storia e sport
fasti e documenti di una competizione di motociclismo
(1935-1961)


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     Erano passati i giorni della Teramo romantica, quando in piazza Garibaldi si elevavano le tende del Circo Franz, il maestro Coccioli aveva dato posto al sonoro dei films in programmazione nel suo negozio le arie dei “black-bottom” degli “schimmy” e i motivi delle operette.
     Ormai la moto aveva avuto il battesimo di mezzo meccanico moderno economico; era finita l'era della felicità della pace quotidiana. Le malattie nervose presero il sopravvento il fegato divenne un organo malaticcio congenito, rifugio di medici malsicuri, e la gente, già afflitta dall'imminente predominio degli autotreni, perse ogni speranza ed ogni avvedutezza. La vendita rateale consentì la motorizzazione della massa e i tipografi compilarono i lunghi bollettini dei protesti cambiari. In città sorsero officine meccaniche come erbe di prati, bastava saper svitare un dado e dare una buona martellata per sentirsi padrone del mestiere; le banche assunsero nuovo personale per assolvere il triste mandato affidato ai nuovi centauri anche se il pedone teramano, cocciuto continuò a passeggiare in mezzo al Corso San Giorgio, fulgido esempio di attaccamento alla tradizione.
     La vecchia Teramo era stata travolta. Non suonava più la banda in feluca, gli squilli di Ragni sono soltanto nei ricordi di pochi e i sopravvissuti superstiti d'un mondo passato, si danno nascosti convegni nel caffè di Silviuccio in attesa del viaggio verso Citinillo. (Nino Rubini)