Giuseppe Savini
Ricordi della vita di Bernardo Savini


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     E per quanto facesse consistere la religione nell'esatta conformità della vita alle credenze, pure pregiò ed usò le pratiche religiose, frequentando i sacramenti, ed ascoltando ogni mattina la messa, e visitando ogni sera la chiesa. Ma non cadde mai nell'errore di far consistere tutta e sola qui la religione, come pur fanno molte anche persone devote, falsando così lo spirito del cattolicismo, che è religione di fede e di opere per eccellenza.
     E così da questa religione attinse, come ho detto, la forza di sopportare con pazienza tutte le acerbe molestie che gli diedero i suoi nervi. Verso il suo quarantesimo anno, questi gli causarono maggiore fastidio, fino quasi ad impedirgli di uscire di casa od a non farnelo allontanare che di pochi passi. Questo dover stare sempre chiuso in casa togliendogli ogni distrazione, più inacerbiva le sue sofferenze. Ma queste non gli trassero mai di bocca altro lamento, che quello di chi soffre rassegnato la tribolazione che Dio gli manda, onde le sue stesse lamentazioni divenivano edificanti per chi le udiva. Ed una di quelle che ripeteva più spesso era questa di san Martino papa: Sia benedetto il Signore, che ci manda la tribolazione in quella misura che sa esserci conveniente.


     XIV

     Dopo vari anni queste sofferenze si mitigarono, ed egli profittò di questa tregua per ridarsi ai suoi studi prediletti. Riprese in mano i pennelli che aveva abbandonati, fece molti ritratti in cui riuscì felicissimo, restaurò o meglio rifece da capo vari quadri antichi, ma si ridiede soprattutto alle scienze matematiche. In tempi, in cui nei nostri paesi non giungevano se non quei libri che si stampavano a Napoli, parve miracolo che un nuovo ingegnere governativo venuto in Teramo portasse seco un libro stampato a Parigi. Era un Trattato di prospettiva di un tal Thénot. Bernardo, che, a dirla di passata, amava più di rileggere i libri letti che di leggerne dei nuovi, pure ebbe voglia di leggere quel libro, e lo ottenne facilmente da quell'ingegnere che gli era amico. Lo lesse infatti e lo intese tanto bene, che ne fe' meravigliare quel medesimo ingegnere; applicò anzi quelle teorie per lui nuove ai quadri suoi e ne corresse gli errori provenuti appunto dall'ignoranza della prospettiva. E lo stesso suo maestro di disegno non esitò a sottoporre a questa correzione anche i propri quadri, come altri, che si dilettavano di belle arti, vennero spesso a consultarlo.