La primavera vivevan di fiori,
Mangiavano d'estate dolci frutti,
D'autunno raccoglievano castagne,
E d'inverno sbarcavano il lunario.
Il Bel Re Scimmia aveva goduto della generosità della natura per tre o quattro secoli, magari cinque, quando un bel giorno, durante un allegro banchetto, d'improvviso gli cadde addosso la tristezza e si mise a piangere. Le scimmie, allarmate, gli chiesero inchinandosi profondamente:
"Perché si tormenta vostra maestà?"
"Ho un bel vivere nella gioia, non posso scacciare il pensiero del futuro: è questo che mi tormenta."
"Vostra maestà non è facile da accontentare" risposero ridendo le scimmie. "Noi ci riuniamo allegramente ogni giorno in questa terra benedetta della montagna degli immortali, in questa antica caverna e su questo divino continente. Nessuno ci ha mai assoggettato, né liocorno, né fenice, né monarca umano. La libertà e la spensieratezza sono felicità che non hanno prezzo; perché caricarsi di pensieri?"
"Certo, oggi non siamo soggetti alle leggi di re umani, né temiamo le minacce di animali; ma prima o poi, quando saremo decrepiti, non cadremo forse nelle mani del vecchio Yama, nel regno delle ombre? Quando il nostro corpo perirà, non risulterà inutile la nostra vita in questo mondo, se non potremo abitare indefinitamente fra gli esseri divini?"
A questo discorso ogni scimmia si coprì la faccia e si mise a singhiozzare pietosamente, tanto erano tutte oppresse dal pensiero della caducità. D'un tratto salta fuori dai ranghi un gibbone dalle lunghe braccia, che con forte voce si rivolge al re:
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