I monaci piangevano: "Il patriarca si è suicidato e noi non troviamo più il kasâya; come possiamo fare?"
"Suppongo che lo abbiate rubato e lo teniate nascosto. Uscite tutti!" ordinò Scimmiotto. "Adesso voglio una lista completa dei nomi, farò l'appello e voglio esaminarvi uno per uno."
Il superiore portò la lista dei monaci, dhûta, domestici e servi, in due registri che recavano duecento trenta nomi in tutto. Scimmiotto fece sedere Tripitaka su un seggio elevato, e fece l'appello e la perquisizione. Ciascuno si doveva spogliare, ma non si trovò nulla. Si frugò con la massima cura ogni cofano e paniere, senza trovar nulla. Sempre più contrariato, Tripitaka dall'alto del suo seggio incominciò a recitare l'incantesimo. Il Novizio cadde subito a terra stringendosi la testa, tanto il dolore era insopportabile. Supplicava: "Smettete, smettete! Ve lo troverò il kasâya!"
Persino i monaci, tutti tremanti, si gettarono in ginocchio per intercedere in suo favore. Tripitaka acconsentì a chiudere la bocca. Scimmiotto balzò in piedi, trasse il suo randello da dietro l'orecchio e l'avrebbe usato sui monaci, se Tripitaka non l'avesse fermato gridando: "Scimmia zuccona, non hai paura che te lo faccia ritornare, il mal di testa? Stai attento! Non muoverti e guardati dal far male a chiunque. Lascia che li interroghi di nuovo."
I monaci si prosternarono e pregarono Tripitaka di risparmiarli: "Non lo abbiamo proprio visto. È tutta colpa di quel vecchio diavolo. La notte passata non smetteva di piangere guardando il vostro kasâya. Guardarlo non gli bastava, voleva a tutti i costi appropriarsene e farne un tesoro ereditario. Voleva farvi morire nelle fiamme, ma quando il fuoco si accese si alzò un vento violento. Ciascuno di noi pensava solo a mettere in salvo quello che poteva. Che ne sia stato del kasâya, nessuno di noi ne ha la minima idea."
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