"Signori, alzatevi" disse Tripitaka. "Non prendetevela con il vostro patriarca. Scimmiotto è partito in cerca del kasâya: se lo ritrova, tutto sarà dimenticato. Devo ammettere che, in caso contrario, non so che cosa sarà di voi, considerato il caratteraccio del mio discepolo. Temo proprio che nessuno di voi gli potrà sfuggire."
Queste parole provocarono il panico: tutti imploravano il Cielo, con il cuore tremante, che la veste fosse ritrovata e le loro vite preservate.
Quanto a Scimmiotto, giunse subito sul Monte del Vento Nero. Scese dalla sua nuvola e osservò con attenzione il paesaggio, che era magnifico in quel tempo di primavera. Eccolo qui:
Cadono a gara le acque dei torrenti,
Mille rupi si slanciano nel cielo.
Cantan gli uccelli nascosti fra i rami,
Cadono i fiori esalando profumi.
Dopo la pioggia l'azzurro è più limpido,
Formano i pini una quinta di giada.
Si apron fra l'erba i fiori di montagna
Risalendo i pendii, regno del glicine.
Sull'altopiano magnifici boschi
Che il taglialegna non ha mai toccato.
Bevono nel ruscello fianco a fianco
Le gru dal lungo collo; sulle rupi
Folleggiano scimmiette. Lunghe liane
Di un verde cupo pendono dagli alberi
Nella limpida luce delle altezze.
Scimmiotto stava contemplando il paesaggio, quando sentì voci risuonare sul pendio erboso. A passi cauti si andò a nascondere dietro una roccia, per osservare senza esser visto. Sul prato erano seduti tre mostri, uno grosso e di pelo scuro al posto d'onore, un prete taoista a sinistra e un letterato vestito di bianco a destra. Erano immersi in un'animata conversazione su fornelli e calderoni, preparazione del cinabro ed elaborazione del mercurio: neve bianca e gemme gialle, il Tao di una setta eterodossa. A un certo punto, quello grosso disse sorridendo: "Dopodomani sarà l'anniversario delle doglie di mia madre; mi farete l'onore di una visita?"
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