"Eccoti qui, Consapevole del Vuoto" disse Tripitaka. "E il kasâya?"
"So dov'è. Per fortuna non ce la siamo presa più di tanto con questi monaci, perché in effetti lo ha rubato il mostro del Monte del Vento Nero. Lo avevo sorpreso a conversare in un prato con un taoista e un letterato, e ho ascoltato in pratica una confessione spontanea. Voleva invitare i mostri dei dintorni per il suo compleanno, e raccontava di essersi procurato nella notte un abito di broccato, che gli avrebbe permesso di qualificare il suo banchetto come convegno dell'abito buddista. Quando ho abbattuto il mio randello, c'è rimasto solo il letterato, che è risultato un serpente picchiettato di bianco; gli altri due si sono eclissati. Ho inseguito il ladro fino alla porta di casa sua e l'ho sfidato. Lui ha raccolto la sfida e ci siamo battuti per mezza giornata, senza vinto né vincitore. Poi gli è venuta fame, si è chiuso nel suo antro e si è rifiutato di metter fuori il naso: ha paura di riprendere il duello. Io sono tornato per informarvi, maestro. Ora che sappiamo dov'è il kasâya, niente paura, ce lo faremo restituire."
A questo racconto i monaci si misero a pregare, gli uni giungendo le mani, gli altri prosternandosi: "Namo Emituofo! Ora che si sa dov'è, siamo salvi."
"Non godete mica troppo!" li avvertì il Novizio. "Io non ci ho ancora messo le mani sopra, e il maestro è sempre qui. Aspettate che abbiamo ricuperato il kasâya, poi ci accompagnerete alla partenza come si deve, e solo dopo ritornerete tranquilli. Alla minima mancanza, constaterete che il vecchio Scimmiotto non è un padrone comodo. L'avete servito bene, il maestro? Ha avuto fieno buono, il cavallo?"
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