NOVELLE ITALIANE DALLE ORIGINI AL CINQUECENTO


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     S'avea creduto che 'l compagno fosse.
     Poi ch'ebbe il Greco il suo cammin fornito,
     Sì come era venuto, anco tornosse.
     Saettò il Sol dall'orizzonte i raggi;
     Sorse Fiammetta, e fece entrare i paggi.

     Il re disse al compagno motteggiando:
     Frate, molto cammin fatto aver dèi;
     E tempo è ben che ti riposi, quando
     Stato a cavallo tutta notte sei.
     Giocondo a lui rispose di rimando,
     E disse: Tu di' quei ch'io a dire avrei.
     A te tocca posare, e pro ti faccia;
     Ché tutta notte hai cavalcato a caccia.

     Anch'io, soggiunse il re, senza alcun fallo
     Lasciato avria il mio can correre un tratto,
     Se m'avessi prestato un po' il cavallo,
     Tanto che 'l mio bisogno avessi fatto.
     Giocondò replicò: Son tuo vassallo,
     E puoi far meco e rompere ogni patto,
     Sì che non convenia tal cenni usare;

     Ben mi potevi dir: Lasciala stare.

     Tanto replica l'un, tanto soggiunge
     L'altro, che sono a grave lite insieme.
     Vengon da' motti ad un parlar che punge;
     Ch'ad amenduo l'esser beffato preme.
     Chiaman Fiammetta (che non era lunge,
     E della fraude esser scoperta teme),
     Per fare in viso l'uno all'altro dire
     Quel che negando ambi parean mentire.

     Dimmi, le disse il re con fiero sguardo,
     E non temer di me né di costui;
     Chi tutta notte fu quel sì gagliardo,
     Che ti godè senza far parte altrui?
     Credendo l'un provar l'altro bugiardo,
     La risposta aspettavano ambedui.
     Fiammetta a' piedi lor si gittò, incerta
     Di viver più, vedendosi scoperta.

     Domandò lor perdono, che d'amore,
     Ch'a un giovinetto avea portato, spinta,
     E da pietà d'un tormentato core,
     Che molto avea per lei patito, vinta,


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