Federico Adamoli
LA CHIESA PERDUTA
(La vicenda della Chiesa di S. Matteo di Teramo)


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     L'abbattimento della chiesa di San Matteo rappresenta in definitiva un esempio nel quale le ragioni della conservazione di una parte del patrimonio edilizio della città teramana, che costituisce un importante elemento della propria identità, sono state sacrificate ad altre considerazioni molto più contingenti; nel caso della chiesa sembra avere giocato un ruolo anche l'atteggiamento ostile del fascismo nei confronti dell'architettura barocca, il cui stile veniva considerato lezioso, degradato (e l'abbattimento della chiesa seguì infatti la distruzione di un'altra testimonianza dell'arte barocca a Teramo, cioè la demolizione tra il 1928 e il 1933 degli interni del Duomo) (29).
     Se nella storia recente della città non si è mai sopita la polemica sulla demolizione del bellissimo Teatro Comunale, sacrificato negli anni del boom economico ad esigenze di pura valorizzazione commerciale della città, si può anche ritenere che si è cercato di fare tesoro degli errori compiuti nel passato: è il caso dell'ulteriore tentativo di recupero dell'Anfiteatro romano. Questo progetto in un certo senso può essere inteso anche come una espiazione per i delitti contro il patrimonio edilizio commessi dai precedenti amministratori della città.

     Sulla demolizione della chiesa di San Matteo è sceso invece il silenzio, ed anche la memoria stessa del monumento sembra attenuarsi. Eppure la sua perdita appare ancora più grave se si pensa che il suo sacrificio è servito in definitiva a rendere disponibile solo una piccola area vuota, quella che oggi è denominata Largo San Matteo. Un'area che per alcuni detrattori della demolizione occorreva per realizzare la piazza davanti al balcone centrale della Prefettura dal quale il Duce, invitato a Teramo, avrebbe fatto il suo discorso al termine della guerra lampo.

(29) «E' di vitale importanza per il fascismo riproporre le forme simboliche sia dei municipi romani che dei comuni medioevali: da qui la giustificazione dell'utopia storica e la incarnazione di una volontà di potenza che si alimenta con la presenza dei monumenti millenari nella loro recuperata integrità depurati da tutte le superfetazioni stilistiche che, specie nel caso del barocco, configurano leziosità ed esaltazione estetica: nemici dichiarati dalla filosofia del ventennio tutta tesa a riscoprire le gesta eroiche della romanità e della stagione delle cruente lotte di potere» (Francesco Tentarelli, "Ciò che è vivo e ciò che è morto nell'arte barocca a Teramo. Note sulla cultura del restauro nel Ventennio" in "Il Duomo di Teramo nel '900 tra forma urbana e società civile", Teramo, Deltagrafica, 1998; vedi anche: Francesco Tentarelli, "Francesco Savini e il restauro delle chiese di Teramo" in "Per una storia d'Abruzzo del XX Secolo", Atti del Convegno su Francesco Savini, Mosciano S. Angelo-Teramo, 5-6 dicembre 2002, Istituto Abruzzese di Ricerche Storiche, Teramo, Edigrafital).


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