Felice Venosta
CARLO PISACANE E GIOVANNI NICOTERA
(o LA SPEDIZIONE DI SAPRI)


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     Il Pisacane fu tra i primi che combatterono le pretensioni del Murat al trono di Napoli, mediante due scritti. Il primo, che ha per titolo Italia e Murat, fu pubblicato nel giornale il Diritto del 1855; n. 225, ed č firmato di conserva con altri emigrati politici delle provincie meridionali; l'altro intitolato Murat e i Borboni č individuale; e venne innanzi tratto inserto nell'Italia e Popolo del 1856, n. 263; indi diffuso dall'Autore nel settembre di quello stesso anno pelle provincie meridionali. In questo articolo il Pisacane cercava dimostrare i danni arrecati a quelle regioni dall'occupazione del Murat, e le sevizie patite da quanti erano ivi amatori di libertā, ammonendo cosė ognuno a non prestar fede alle promesse dello straniero.
     Nel 1856 Carlo recavasi nuovamente a Genova, ove si dava ad insegnare le scienze matematiche, presso alcune famiglie di amici; se non che, nč al merito nč al buon volere rispondeva fortuna; e mentre a molti abbondava il superfluo e di che profondere in lascivie ed in crapule, a lui, che per la patria aveva dato il sangue, ed era pronto a dare la vita, a lui degno, per virtų e per dottrina, di laude e di premio, appena appena riusciva con molta fatica a procacciarsi il sostentamento. Alfine otteneva l'incarico di fare gli studi d'una ferrovia da Mondovė a Ceva; ed ancora i Monregalesi conservano tuttodė dolce memoria di lui.


     IV.

     Il 15 maggio 1849, anniversario delle carnificine di Napoli, le soldatesche del Filangeri, in numero di diciasettemila uomini, entravano in Palermo. Cosė, dopo aver difeso a palmo a palmo i terreni su cui sventolava la sacra bandiera e avervi lasciato di molte vittime, la rivoluzione siciliana veniva assopita. Il principe di Satriano e il Maniscalco, il primo traditore, il secondo feroce, furono destinati da Ferdinando a conculcare quel popolo generoso; ed essi risposero in modo di appagare le ferine brame del padrone. Alcuni arditi giovini sdegnarono soffrire le verghe di quei due truculenti sgherrani del dispotismo; e il 27 gennaio 1850, gridando libertā, insorsero alla Fiera Vecchia. Il popolo era stanco della lotta sostenuta; desso, alla vista della bandiera tricolore, non seppe trovare l'antico siculo entusiasmo; la forza accorse; sei di quei giovini furono arrestati; e il domani, nel luogo istesso dell'insurrezione, vennero fucilati. Cosė al martirologio italiano furono aggiunti sei nomi, e fra questi quello di Nicola Garzilli, giovine avvocato, nelle lettere e nelle scienze versatissimo, di mente sublime, di cuore impareggiabile.


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