Felice Venosta
CARLO PISACANE E GIOVANNI NICOTERA
(o LA SPEDIZIONE DI SAPRI)


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     I soldati cedevano le armi; e que' pochi arditi divenivano padroni dei destini dell'Isola di Ponza. I relegati politici erano resi alla libertà; questi avrebbero tutti impugnate le armi, se un tal De-Leo, udito come la spedizione non fosse fatta allo scopo d'insediare a Napoli la monarchia del Murat, d'accordo col parroco dell'Isola, non avesse insinuato loro a non imbarcarsi. Non contento di ciò il De-Leo coglieva l'istante in cui niuno lo vedesse, balzava in una barca, e fuggiva a Gaeta per riferire al governo dell'accaduto di Ponza. Pei tristi uffici di questo scellerato, che in premio del suo spionaggio otteneva la condonazione della pena e una licenza da farmacista, dei relegati se ne imbarcarono poco più di quattrocento. I rimasti, meglio di seicento, rubarono gli schioppi che si erano presi ai soldati e li vendettero per pochi carlini agli Isolani.

     Verso la mezzanotte del 27 al 28, Pisacane, Nicotera, Falcone e i generosi compagni, quale novella falange delle Termopili eubee, destinata anch'essa ad empire la storia dell'eco dell'ultimo suo sospiro, muovevano intrepidi, fidenti per le regioni del Cilento.
     A convalidare quanto abbiamo scritto di quei primi fatti, diamo luogo ad una particolareggiata narrazione quale ci venne dettata da uno de' generosi che fecero parte della magnanima impresa.
     "Il giorno 25 giugno 1857, fu definitivamente fissato per la partenza. Una barca, carica d'armi e munizioni, partiva il 24, guidata da Pilo e da venti compagni; doveva stare al largo sino al domani e raggiungerci nelle acque di Portofino. Gli uomini della spedizione si recarono verso le sei del vespro sul piroscafo Cagliari. Chi fingeva essere diretto per Tunisi, chi per Cagliari: chi andare per un interesse, chi per un altro: mai una parola si scambiavano fra di loro: sembravano veramente passeggieri che si trovassero colà a caso. Dopo due ore circa di cammino, ad un segnale di Pisacane, che consisteva nel porsi in testa un berretto rosso, ognuno si collocò al posto assegnato; ed al grido di viva l'Italia tutta la gente del bordo venne sorpresa; si tolse il comando al capitano, e si affidò a Giuseppe Daneri, genovese, pur capitano di marina, il quale trovavasi fra i passeggieri. Tanto i marinai quanto i viaggiatori, vedendo gli uomini della spedizione armati di pistole, furono presi da timore, credendoli pirati. Ma bentosto furono rassicurati dalle parole del Pisacane, il quale, senza particolareggiarglielo, disse loro a quale scopo avessero fatto quel tiro. La calma ritornò in tutti; si mostrarono lieti; ed una donna, una tal Rosa Mascherò, genovese, moglie d'un medico di Tunisi, sclamò: "Quand'è così, vi auguro buona fortuna, e grido con voi viva l'Italia! viva la libertà!" Prima cura fu quella di trovare la barca partita il giorno prima colle armi e colle munizioni. Si fecero i convenuti segnali; ma invano. Finalmente alla mezzanotte, dopo tre ore d'attesa, perduta ogni speranza, i congiurati stavano perplessi sul da farsi, quando uno di essi, esaminando non a caso il giornale di bordo vide che nel Cagliari si trovavano imbarcate sette casse di fucili da caccia e due di tromboni. Riferita la cosa a Pisacane, questi, di conserva coll'altro, si recò nella stiva, ed ivi rinvennero le armi segnate sul giornale. Un grido di gioia echeggiò sul Cagliari: "Armi! armi! Ecco trovato quel che ci mancava." Il capitano del piroscafo pregava non si toccassero quelle armi, perchè mercanzia a lui affidata; ma lo scopo a cui dovevano servire non ammetteva consegna di sorta. Dopo le armi bisognava pensare alla munizione: rovistato il bordo si trovò polvere e piombo. Allora la coperta del bastimento fu tramutata in un arsenale. Chi faceva le cartucce, chi fondeva le palle, la cui forma era stata fatta con due pezzi di mattoni, chi metteva in sesto gli schioppi; insomma il giorno 26 passò in grande attività. Allorchè il 27 si fu in vista dell'isola di Ponza vennero caricate le armi e concertati i mezzi di prender terra. Giunti a poca distanza dell'Isola il piroscafo si fermò, e fu chiamato il pilota col segnale all'albero di trinchetto. Egli venne; ma richiesto salisse a bordo per condurre alcuni marinai nel porto per far acqua, rispose non poterlo vietandoglielo le leggi ivi vigenti. Fu fatto salire a forza.


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