Felice Venosta
CARLO PISACANE E GIOVANNI NICOTERA
(o LA SPEDIZIONE DI SAPRI)


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     I gendarmi e le guardie urbane, all'inaspettato soccorso del 7.° cacciatori, vedendosi ormai otto volte maggiori degli uomini che avevano da combattere, riprendevano animo, e si ponevano sotto gli ordini del Ghio.
     I generosi patrioti avanti alla certa morte, non cercavano ritirarsi; ma come i trecenti Spartani, di pie' fermo aspettavano il nemico, e come quelli facevano olocausto della vita sull'altare della patria. A mezzogiorno cominciava il combattimento; gli uni fatti arditi dal grosso numero e dall'aviditą della carnificina, gli altri resi magnanimi dal santo amore di libertą e dal pensiero che la loro morte sarebbe di grande esempio a' fratelli e di rimorso ai mancatori delle date promesse. Due ore continuava la battaglia; da ambo le parti il terreno era coperto di morti. Il Ghio eccitava i suoi agli atti pił crudeli; il Pisacane ed il Nicotera cercavano quanto pił potessero di risparmiare sangue fraterno. Consumate le cartuccie, i valorosi devevano cessare il fuoco. Il Pisacane si recava sulla linea difesa dal Nicotera, ove sventolava il vessillo nazionale; e, sereno in volto, come uomo sicuro, risolveva aspettare l'avanzarsi del nemico, e a quel posto pugnando di ferro, corpo a corpo, morire. "Noi morremo da uomini, sclamava egli, abbiamo fatto quello che umanamente far si poteva per aiutare questo disgraziato paese. Maledetti coloro che ci lasciano soli, ai quali non basta nemmeno l'esempio per iscuotersi dal vergognoso sonno di nove anni!" Il Nicotera proponeva invece di ritirarsi sui monti per ivi far guerra ad oltranza ai satelliti di Ferdinando: "Chissą, diceva, il nostro sacrificio potrą forse destare alfine i dormenti." E con altre nobili ed eloquenti parole induceva il Pisacane a rinunciare al fiero proposito. La ritirata cominciava con ordine. Il Pisacane, silenzioso, rimaneva ultimo sul luogo, volgeva quindi uno sguardo all'ingiro, e a lenti passi raggiungeva i compagni.


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