NOVELLE ITALIANE DALLE ORIGINI AL CINQUECENTO


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     Quanto rimanesse contento Gian Simone, non è da domandare, et allo Scheggia disse: - Credi tu che, se Zoroastro avesse fatto un'immagine per me, che io me lo fusse anch'io dimenticato? - Sì, ve lo sareste, rispose lo Scheggia: statene voi in dubbio? - Io voglio dunque, seguitò Gian Simone, che tu ritorni a lui, e facciagliene fare; e costi ciò che vuole: purché io mi dimentichi di questa cosa, io sarò il più contento uomo che viva. - A cui rispose lo Scheggia dicendo: - Maladetta sia tanta trascurataggine! voi potevate pur dirmelo dianzi: egli sarebbe ora troppo grande impanio a far ritornar il Diavolo, e ricostringerlo: non vi basta egli esser libero? E poi io non vorrei anche tanto infastidirlo, e che egli m'avesse poi a dire che io fussi carne grassa; e anche non vo' più tentare la fortuna né con spirti né con incanti, né con incantatori impacciarmi mai più, sicché pertanto abbiate pazienza - Tu di' anche il vero, rispose Gian Simone: la cosa e andata ben troppo. - E così, avuti altri simili ragionamenti, lo lasciò lo Scheggia in pace; e andatosene a casa Zoroastro, dove l'aspettavano i compagni, e ragguagliatili desinò con esso loro allegramente. L'altro giorno poi, uscendo Gian Simone fuori, e trovato il Monaco e il Pilucca, fu certissimo dell'oblivione; ma poi in spazio di tempo, scalzandoli alcuna volta e sottraendoli et essi novissimi e maravigliosi mostrandosi, facevano le più grasse risa del mondo: ma i quattro compagni lasciatolo con la beffa e col danno, lungo tempo sguazzarono alle sue spese.


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