NOVELLE ITALIANE DALLE ORIGINI AL CINQUECENTO


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     (Da Le piacevoli notti: notte settima, favola I)



     IL RUBINO DI VIOLANTE
     Maestro Lattanzio sarto ammaestra Dionigi suo scolare; ed egli poco impara l'arte che gl'insegna, ma ben quella 'l sarto teneva ascosa. Nasce odio tra loro, e finalmente Dionigi lo divora, e Violante figliuola del re per moglie prende.

     I
     N Cicilia, isola che per antiquità tutte le altre avanza, è posta una nobilissima città; la quale per lo sicuro e profondissimo porto è chiara, e volgarmente è detta Messina. Di questa nacque maestro Lattanzio; il quale aveva due arti alle mani, e dell'una e dell'altra era uomo peritissimo: ma una essercitava publicamente e l'altra di nascosto. L'arte che egli palesemente essercitava, era la sartoria; l'altra, che nascosamente faceva, era la nigromanzia. Avenne che Lattanzio tolse per suo gargione un figliuolo d'un pover'uomo, acciò che imparasse l'arte del sarto. Costui, che era putto, e Dionigi si chiamava, era sì diligente ed accorto, che quanto gli era dimostrato, tanto imparava. Avenne che, sendo un dì maestro Lattanzio solo e chiuso nella sua camera, faceva certe cose di nigromanzia. Il che avendo persentito Dionigi, chetamente si accostò alla fessura che nella camera penetrava; e vidde tutto quello che Lattanzio suo maestro faceva. Laonde, invaghito di tal arte, puose ogni suo pensiero alla nigromanzia, lasciando da canto l'essercizio del sarto; non però osava scoprirsi al maestro. Lattanzio, vedendo Dionigi aver mutata natura, e di diligente e saputo esser divenuto pigro ed ignorante, né più attendere, come prima, al mistiero del sarto, diegli licenza, e mandollo a casa di suo padre. Il padre, che poverissimo era, veduto che ebbe il figliuolo, molto si duolse. E poscia che castigato ed ammaestrato l'ebbe, lo ritornò a Lattanzio, pregandolo sommamente che lo dovesse tenere, castigarlo e nodrirlo; né altro da lui voleva se non che l'imparasse. Lattanzio, che conosceva il padre del gargione esser povero, da capo l'accettò, e ogni giorno gl'insegnava cuscire; ma Dionigi si dimostrava d'addormentato ingegno, e nulla apparava. Per il che Lattanzio ogni giorno con calzi e pugna lo batteva, e il più delle volte li rompeva il viso e facevagli uscir il sangue; ed insomma più erano le battiture, che i bocconi che egli mangiava. Ma Dionigi ogni cosa pazientemente sofferiva; e la notte alla fessura della camera n'andava, e il tutto vedeva. Vedendo Lattanzio il gargione esser tondo di cervello, né poter apparare cosa che li fosse mostrata, non si curava più di far la sua arte nascosamente, imaginandosi che, s'egli non poteva apparar quella del sarto, che era agevole, molto minormente appararebbe quella di nigromanzia, che era malagevole. E però Lattanzio non si schifava più da lui, ma ogni cosa in sua presenzia faceva. Il che era di molto contento a Dionigi; il quale, quantunque fosse giudicato tondo e grossolone, pur molto leggermente apparò l'arte nigromantica, e divenne sì dotto e sofficiente in quella, ché di gran lunga il maestro avanzò. ll padre di Dionigi, andatosene un giorno alla bottega del sarto, vidde suo figliuolo non lavorare, ma portar le legna e l'acqua che bisognava per cucina, scopar la casa e far altri vilissimi servigi. Onde assai si duolse; e fatta tuor buona licenza dal maestro, a casa lo condusse.


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