Felice Venosta
CARLO PISACANE E GIOVANNI NICOTERA
(o LA SPEDIZIONE DI SAPRI)


Pagina 38
1-5- 10-15- 20-25- 30-35- 40-45- 50-55- 60-65- 70-75- 80-84

[Indice]

     Il Consiglio di guerra del corpo, a cui presiedeva l'aiutante Pianell, venne tosto riunito. Questo gli fece soffrire ogni orribile tortura perchè svelasse i complici. Rispose "aver solo a complici le nefandità del Borbone." Lo torturarono ancora in modo che più non consentono essere narrati. "Io non ho altri complici che i delitti del Borbone, rispondeva sempre alle reiterate domande." Il Milano aveva fatto parte anco della gran rassegna che il re costumava ordinare pel dì 8 settembre. Il Consiglio lo interrogò perchè non avesse attentato alla vita del re in quel giorno; al che egli rispose: "Il Borbone passa allora la rivista in carrozza, io avrei dovuto tirargli una fucilata, e colpire un altro in sua vece, mentre colla baionetta era sicuro del fatto mio." Interrogato se fosse pentito dell'azione, disse che "se avesse potuto ripeterla l'avrebbe eseguita volentieri." Vedendo come null'altro potevasi strappare dalle labbra del fiero soldato, il Consiglio dannavalo alla forca col quarto grado di pubblico esempio.

     Il dì 13 dicembre 1856, alle dieci e mezza, dopo la degradazione militare, il Milano, vestito dell'abito di forza, a piedi scalzi, con appeso al petto un cartello che lo qualificava parricida, doveva salire l'infame gibetto, eretto nel largo detto Cavalcatoio fuori Porta Capuana. Egli vi trasse ritto, senza impallidire, nè senza jattanza; morì gridando: Viva l'Italia! Narrasi che tanto eloquente mostrossi in materie religiose, che i due frati che lo assistettero negli estremi istanti l'udivano senza fiatare ed avevano cera di penitenti a fronte del condannato.


[Pagina Precedente] - [Indice] - [Pagina Successiva]