Felice Venosta
CARLO PISACANE E GIOVANNI NICOTERA
(o LA SPEDIZIONE DI SAPRI)


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     Nell'anno 1847, i popoli, soggetti a Ferdinando, chiedevano a lui, come a padre, quelle concessioni che altri principi italiani avevano ai loro sudditi accordate in quel torno di tempo. Ma l'infame Borbone, alle nobili e giuste domande, rispondeva colle schioppettate, colle prigioni, colle stragi. I Palermitani, stanchi delle frustrate speranze di libertà, delle governative enormezze colle quali si pretendeva acquistare il reame, insorgevano il 12 gennaio 1848. - Il grido della rivolta si diffondeva per tutta l'isola sicule; e Messina, Trapani, Catania, Termini, Siracusa, erano le prime a seguirne l'esempio. I preti, i frati, col Cristo alla mano, eccitavano sulle serraglie il popolo ai sentimenti generosi e gagliardi, alla conquista dei propri diritti. A malgrado delle preponderanti soldatesche che, ad istigazione del Ministro Del Carretto, del monaco Cocle, confessore della corte, e dei gesuiti, Ferdinando aveva spedite nell'Isola, i Siciliani furono vincitori; ma, generosi dopo la vittoria, non si portarono a vendette, e si accontentarono della Costituzione di Napoli.

     Il Borbone, all'aspetto ognora più minaccevole dei Napoletani, alle vittorie dell'insorta Sicilia, il 29 di gennaio si decise a promettere una Costituzione. Ma non fu che all'11 febbraio, e, dopo mille nuove incertezze, che quella promessa, suo malgrado, faceva un fatto compiuto.
     Cittadini di tutte le classi, dimentichi dei sofferti malanni, si affollarono, in sulla Piazza di san Francesco da Paola, per applaudire al re. Ferdinando, seguito dalla moglie, dall'erede al trono, dai suoi fratelli, fecesi al verone del palazzo reale a ricevere l'omaggio della moltitudine. Alle voci di Viva Ferdinando II! - Viva la Costituzione! - Viva l'Italia! - egli rispondeva portando la destra sul petto. E siccome ad ogni tratto si faceva maggiore il numero delle genti affollate e il grido devoto ognora più crescente, così quegli, che pareva certo dell'amore de' suoi sudditi, escì della reggia per raccogliere davvicino il premio d'un'opera tanto desiderata, sì a lungo protratta. Allora l'entusiasmo divenne febbrile, e i saluti di onore confusi in uno solo, si mutarono in suono alto di festa, commoventissimo. E chi baciava le mani del re; chi il lembo della sua veste; chi dicevagli parole di grazie, di affetto; chi designavalo il balio dell'italiana nazionalità; chi l'incoronatore delle speranze di molti secoli. I fatti dei Napoletani e dei Siciliani vennero da tutt'Italia applauditi.


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