Felice Venosta
CARLO PISACANE E GIOVANNI NICOTERA
(o LA SPEDIZIONE DI SAPRI)


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     "- Questo č il regolamento del convitto femminile di Vercelli.
     "Voi mentite! sclamava il procuratore generale.
     "- Signor presidente, replicava freddo il Nicotera: la prego a difendermi dagli insulti del procuratore generale. Questo č il regolamento del convitto femminile di Vercelli.
     "- Vi ripeto che siete un mentitore! -
     Non ancora era uscita intiera l'ingiuria dal labbro del procuratore generale, e giā il Nicotera, sollevato il calamaio di bronzo del cancelliere, glielo scaraventava in viso.
     L'udienza era sospesa, ed il processo interrotto per quindici giorni. E d'ordine di re Ferdinando si riapriva con una dichiarazione del procuratore generale, che non aveva inteso di offendere la persona dell'accusato barone Giovanni Nicotera.
     Due compagni, generosi quanto lui, s'alzavano al processo, e dichiaravano che il Nicotera li aveva sconsigliati dalla spedizione, e che un assalto dei cacciatori li aveva sorpresi mentre stava inalberando la bandiera bianca, e voleva indurli alla resa.

     "- Quei signori mentono! interrompeva con impeto il Nicotera. Caddi tramortito alle prime ferite, e me vivo, e padrone dei miei sensi, non avrei mai, come non ho, parlato di resa, nč innalzato bandiera bianca, davanti alle soldatesche del Borbone." -
     Prima che si chiudesse la procedura, il Nicotera protestō anche contro l'accusa che gli insorti avessero commesso furti e rapine, ricordando invece che uno era stato fucilato per ordine del Pisacane per avere involati pochi carlini ad una donna.
     Quando, in carcere, gli recarono la sentenza (era la notte dal 19 al 20 luglio 1858), svegliato dagli amici, fece attendere un'ora il cancelliere per compire la sua teletta; indi gli chiese seccamente:


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