Felice Venosta
CARLO PISACANE E GIOVANNI NICOTERA
(o LA SPEDIZIONE DI SAPRI)


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     Nel 1851, il genovese editore Giuseppe Pavesi accettava di fare di pubblica ragione il libro su "La guerra combattuta in Italia"; vi si apponeva quest'epigrafe: "Le rivoluzioni materiali si compiono allorchè l'idea motrice è già divenuta popolare."
     II Pisacane era uomo logico, franco ed integro; onde alle convinzioni sue coscienziosamente conformava le opere; e non solo s'asteneva da ogni pratica cattolica; ma quando, nel 1853, gli nasceva una bambina, l'unica che gli sopravviva, si ricusò di portarla alla chiesa per le consuete cerimonie lustrali, e di farla inscrivere su i registri clericali. "In quella vece, scrive il Macchi, ricorse all'opera ben più competente di un pubblico notaio, dando così l'esempio di una condotta, che, ove fosse imitata, varrebbe più d'ogni altra cosa ad accelerare lo scioglimento del problema religioso, il quale pesa, come incubo, su l'età nostra. Sì, ad accelerare il trionfo del Vero, più d'ogni propaganda filosofica, varrebbe il proposito in ogni cittadino, che abbia perduta la fede nella mitologia papale, di non permettersi alcuna pratica, che sia propria dei credenti, come, per umani riguardi, finora troppo spesso succede(13)."

     Il Pisacane aveva allora la ferma idea che non si dovesse dar mano a congiure, e a promuovere insurrezioni, ove prima non si fosse guadagnato nelle moltitudini coll'apostolato della parola, non solo il consenso degli animi, ma eziandio l'effervescenza degli spiriti, in favore di quel principio, che si vorrebbe sostituire all'ordine attuale. "Senza di che, scriveva egli, il dar di piglio alle armi solo per obbedire alla parola d'ordine di un caposetta, riesce un vero maleficio." A poco a poco però, dovette riconoscere quanto la voce della stampa liberale avesse operato nelle masse, educandole ai sentimenti di patria e di libertà, eccitandole ai più nobili sacrifici. E se non ammetteva pienamente che il principio dell'unità fosse passato nel petto d'un intero popolo, tuttavia riputava esistere da noi la rivoluzione morale. Quando poi pensava ai dolori d'Italia, alle sue vergogne, ai suoi doveri, l'anima di lui si intendeva con quella del Mazzini in un solo palpito d'opere generose. Infatti non tardava guari a gettarsi nel partito d'azione; e ciò che innanzi tratto dannava, ammetteva poscia, scrivendo, che "la sola opera che può fare un cittadino per giovare al paese, è quella di cooperare alla rivoluzione materiale; epperò cospirazioni, congiure, tentativi, ecc., sono quella serie di fatti attraverso cui l'Italia procede verso la sua meta. Il lampo della baionetta di Milano (Agesilao) fu una propaganda più efficace di mille volumi scritti dai dottrinari."


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