Felice Venosta
CARLO PISACANE E GIOVANNI NICOTERA
(o LA SPEDIZIONE DI SAPRI)


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     Ferdinando stavasene nella reggia coi suoi sgherrani preparando la guerra. Aveva dato ordine ai comandanti dei forti di innalzare a un cenno bandiera rossa, e di tirare sulla città. Non pochi istigatori di rapine e di morte erano stati inviati fra i Lazzaroni a spargere oro, e a promettere il saccheggio delle case dei ricchi. Anche ai soldati fu promesso il saccheggio. E di questo re, che cercava esterminare i popoli, i quali, fidenti in lui, attendevano le promesse franchigie, di questo re, che dall'uno all'altro punto del suo regno aveva steso un lenzuolo funereo, il d'Arlincourt, vero scherano del dispotismo, non vergognava nella sua ITALIA ROSSA di dire "nessuno più di lui ebbe animo alieno dalla tirannia, e il cuore propenso all'umanità; ei fu sempre clemente e magnanimo."

     Dopo quella terribile notte venne un più terribile giorno. A un grido di all'arme, a una schioppettata tirata non si sa da chi, gli Svizzeri e tutti gli sgherri del re si slanciarono contro le barricate, nel tempo stesso in cui i cannoni fulminarono da tutti i castelli. Il forte della battaglia fu a Toledo, a S. Ferdinando e a S. Brigida. Dalle barricate e dalle case veniva una tempesta di schioppettate continue. Per tre volte i soldati regi furono respinti. I combattenti, sebbene in piccolo numero, sebbene senza munizione, senza capo e disgiunti gli uni dagli altri, fecero prodigi di valore. La pugna cessò dopo sei ore di disperata ma generosa difesa da parte dei valorosi cittadini, dopo prove di inaudita ferocità da parte dei soldati e dei Lazzaroni.


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