NOVELLE ITALIANE DALLE ORIGINI AL CINQUECENTO


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     E levati, alla finestretta usata n'andarono; e nella corte guardando, videro lo scolare fare su per la neve una carola trita al suon d'un batter di denti, che egli faceva per troppo freddo, sì spessa e ratta, che mai simile veduta non aveano. Allora disse la donna: - Che dirai, speranza mia dolce? parti che io sappia far gli uomini carolare senza suono di trombe e di cornamusa?
     A cui l'amante ridendo rispose: - Diletto mio grande, sì.
     Disse la donna: - Io voglio che noi andiamo infin giù all'uscio: tu ti starai cheto e io gli parlerò, e udirem quello che egli dirà, e per avventura n'avrem non men festa che noi abbiam di vederlo. - E aperta la camera chetamente, se ne scesero all'uscio, e quivi, senza aprir punto, la donna con voce sommessa da un pertugetto che v'era il chiamò.

     Lo scolare, udendosi chiamare, lodò Iddio, credendosi troppo bene entrar dentro, e accostatosi all'uscio disse: - Eccomi qui, madonna: aprite per Dio, ché io muoio di freddo.
     La donna disse: - O sì, che io so che tu se'uno assiderato! e anche è il freddo molto grande, perché costì sia un poco di neve! già so io che elle sono molto maggiori a Parigi. Io non ti posso ancora aprire, per ciò che questo mio maledetto fratello, che iersera ci venne meco a cenare, non se ne va ancora: ma egli se n'andrà tosto, e io verrò incontanente ad aprirti. Io mi son testé con gran fatica scantonata da lui per venirti a confortare che l'aspettar non t'incresca.
     Disse lo scolare: - Deh! madonna, io vi priego per Dio che voi m'apriate, acciò che io possa costì dentro stare al coperto, per ciò che da poco in qua s'è messa la più folta neve del mondo, e nevica tuttavia; e io v'attenderò quanto vi sarà a grado.


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