NOVELLE ITALIANE DALLE ORIGINI AL CINQUECENTO


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     - Una cappellina?
     Chi avea della suppa in bocca, getta fuori: - Alle guagnèle, che noi ce n'abbiamo una...
     Chiama la Benvegnuda. Ed ella giugne: - Buon prò vi faccia.
     Tu sia la malvenuta - dice Giovanni Ducci - o che ci hai tu recato in tavola?
     Dice quella: - Hovvi recato un ventre, che voi mi mandaste.
     Dice il Tosco, ch'era levato ritto, e stava dal lato di fuori: - Guata, se egli è ventre? - e levalo suso alto.
     Dice la Benvegnuda: - Oimè, che vuol dir questo?
     Dice il Tosco: - Vuol dir panico pesto; - e aperta questa cappellina, essendo la fante volta per tornar nella cucina, gli lo cacciò in capo.
     La fante gettalo in terra: - Che diavolo è questo che voi fate?
     Dice Giovanni: - Vie' qua: dimmi il vero chi c'è venuto?
     Ed ella dice: - Venneci Michele Cini.

     Dicono costoro: - I nostri compagni ce l'hanno calata.
     E sappiendo come Michele era venuto, e ciò che avea fatto e detto, l'ebbono per lo fermo; dicendo Piero: - Io ho ben veduto Naddo molto ridere da dianzi in qua.
     Dice l'altro: - - Comecché ci abbiano fatto la più sucida beffa che noi avessimo mai, io credo ci abbiano fatto molto bene; avevamo diviso la compagnia per un ventre.
     Dice Giovanni: - Truovaci qualche marzolino, e metti questa cappellina in bucato, che io la vorrò rendere al Benci, che debb'essere stato il principio di tutto questo fatto.
     Dissono gli altri: - Me' faremo a mandarglielo ora; - e tolgono uno piattello, e coprono; e dicono: - Va' di' a Benci, che Giovanni Ducci gli manda del ventre della vitella.
     E così giugnendo a Benci con l'ambasciata e col presente, dice Benci: - Di' che gran merzé; ma che 'l tavernaio l'ingannò, ché cotesto è di pecora, e non è di vitella.


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