NOVELLE ITALIANE DALLE ORIGINI AL CINQUECENTO


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     Ritorna il fante, e dice quello che Benci e gli altri hanno detto, e ch'egli era di pecora. Dice il Tosco: - Ed egli ben ci ha trattato come pecore.
     E con tutto questo, quelli che l'ebbono e quelli che il doveano mangiare, furono troppo contenti di sì bella beffa; e poi, trovandosi l'uno con l'altro, tutti rideano a un modo, per tale che tutta Vinegia otto dì n'ebbe piacere.
     Oggi se ne ucciderebbono gli uomini; e nota, che da questo si dice: "Egli ha fatto una sucida beffa"; perocché quella cappellina era sucidissima.
     E così si davano i mercatanti diletto; e insieme, di ciò che si faceano, erano contenti; e aveanlo a caro. Ma io credo bene, che poi sia intervenuto il contrario; perocché le risa son quasi per tutto convertite in pianto per li difetti umani, o per li iudìci divini.

     (Novella XCVIII)



     GIOVANNI E LE TRE ROMITE
     Giovanni apostolo sott'ombra di santa persona entra in uno romitoro, avendo a fare con tre romite, ché più non ve ne avea.

     F
     U a Todi, non è molto, uno che era chiamato Giovanni dell'Innamorata, ed era di questi che si chiamano apostoli, che vanno con le fogge vestiti di bigio, sanza levare mai gli occhi in alto; e ancora facea in Todi l'oficio del barbiere. Era costui molto usato d'andare di fuori in certi luoghi di Todi, e spesso passava da uno romitoro, dove erano tre giovene romite, che l'una era bellissima, quanto potesse essere. E 'l detto Giovanni era spesse volte domandato: - Perché hai tu per soprannome dello 'nnamorato?
     E quelli rispondea: - Perché sono innamorato della grazia di Jesu.


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